Sembra ormai scontato, quando andiamo al supermercato, nei mercati o nei negozi, avere a disposizione (il più delle volte a pagamento) shopper in plastica biodegradabile per riporre la nostra spesa. Una scelta che l’Italia ha fatto ormai da diversi anni (l’obbligo di buste biodegradabili è in vigore dal 2018) ma sui cui sembra ci sia ancora molto da lavorare.

Lo testimonia un nuovo documento della Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti, che mostra come siano ancora in circolazione buste in tradizionale plastica e di conseguenza particolarmente inquinanti.

Attualmente ben 4 sacchetti per la spesa su 10 sono di plastica, dunque non a norma. Questi si trovano soprattutto nei negozi al dettaglio, nei mercati e sulle bancarelle.

Un tema, quello della circolazione illegale di buste di plastica non riciclabile, che ha interessato – visti i numeri non proprio esigui – la Commissione Ecomafie, che la scorsa settimana ha pubblicato la “Relazione finale sul mercato ilegale delle buste di plastica-shopper“.

Nel documento si parla anche dei numerosi controlli che sono stati fatti sul territorio italiano dalle forze dell’ordine. Questi hanno portato al sequestro di centinaia di tonnellate di buste di plastica non a norma, ma le tante denunce e sanzioni a carico di produttori e stabilimenti, sembra che non siano bastate a fronteggiare questo commercio parallelo di buste illegali.

Tra l’altro, le indagini hanno più volte evidenziato come non siano solo i laboratori clandestini a produrre ancora shopper in plastica ma, in molti casi, la produzione avviene anche in quelle stesse aziende che si occupano del commercio di buste biodegradabili (che così riescono ad aumentare i loro profitti).

Da parte loro, i commercianti che avevano acquistato le buste di plastica non a norma, hanno dichiarato che i venditori si presentavano nei negozi in modo anonimo e non rilasciavano mai ricevute o fatture, in questo modo non si poteva tracciare la provenienza degli shopper illegali.

La Commissione ricorda che:

Di fatto, per chi viola o elude la legge sulle borse in plastica è prevista dall’art. 261, comma 4-bis, 4-ter e 4-quater del decreto legislativo n. 152/2006, una sanzione amministrativa che va dai 2.500 a 25.000 euro, elevabili fino a 100.000 euro se la violazione riguarda quantità ingenti di borse di plastica o un valore della merce superiore al 10 per cento del fatturato del trasgressore, nonché nel caso di utilizzo sulle borse di diciture o altri segni elusivi degli obblighi previsti dalla normativa. Invero, chi applica alle buste una etichetta “biodegradabile – compostabile” non corrispondente alle caratteristiche del materiale di cui è costituita la busta, è perseguibile penalmente, incorrendo nella fattispecie di “frode nell’esercizio del commercio” (art. 515 c.p.) lecita, quindi provvista di tutte le autorizzazioni necessarie e fiscalmente in regola.

Come si intende arginare il fenomeno delle buste di plastica illegali? In merito a questo punto fondamentale la Commissione scrive:

Osservata l’efficienza della cooperazione tra la Commissione d’inchiesta e le varie forze dell’ordine, che risultano essere attente sentinelle del proprio territorio, sarebbe auspicabile creare un coordinamento nazionale mettendo a disposizione l’esperienza acquisita in questi anni. Pertanto, è auspicio di questa Commissione che tale lavoro venga proseguito al fine di ridurre progressivamente il fenomeno della produzione e commercializzazione illegale delle buste di plastica.

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Fonte: Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti

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