Legambiente ha presentato le sue Osservazioni alla domanda di riesame dell’Autorizzazione Integrata Ambientale presentata da Acciaierie d’Italia per il siderurgico di Taranto e secondo Stefano Ciafani, presidente nazionale, Lunetta Franco presidente del circolo di Taranto, e Daniela Salzedo, direttrice di Legambiente Puglia, «La richiesta di rilascio della nuova A.I.A. per lo stabilimento siderurgico di Taranto nasce vecchia e inadeguata e va nella direzione, inaccettabile, di puro adeguamento di processi produttivi e tecnologie di vecchio stampo, volto a mantenere l’esistente.  Il riesame dell’AIA non può consistere in un mero “rinnovo” autorizzativo, ma deve necessariamente affrontare questioni nodali quali la riconversione del ciclo produttivo, da quello attuale ad una produzione basata su DRI e forni elettrici; ma di questa transizione, da tempo annunciata, non si fa alcun cenno nei documenti presentati dall’azienda».

Nelle sue osservazioni, Legambiente evidenzia che «Peraltro, risulta già acquisita la certezza che alcuni interventi prescritti dall’A.I.A. in vigore, quelli in ottemperanza alle Prescrizioni UA8-UA26, Gestione acque meteoriche sporgenti marittimi e relative pertinenze, e UA9, Gestione acque meteoriche aree a caldo, non risulteranno attuati entro la scadenza stabilita del 23 agosto 2023. Rammentiamo che, in base al DPCM del 29 settembre 2017, la produzione dello stabilimento siderurgico di Taranto non potrà superare i 6 milioni di tonnellate/anno di acciaio fino al completamento di tutti gli interventi previsti nel suo Allegato I, in cui sono espressamente indicati anche quelli relativi alle prescrizioni UA8-UA26 e UA9. Inoltre, a distanza di ben quattro anni dal suo inizio, non si è concluso il riesame dell’autorizzazione integrata ambientale richiesto formalmente dal Sindaco di Taranto a maggio 2019. Nell’ambito di tale riesame non risulta acquisita la valutazione di impatto sanitario relativa allo scenario emissivo post-operam, connesso agli impianti in esercizio e adeguati al DPCM 29 settembre 2017, alla massima produzione attualmente autorizzata pari a 6 milioni di tonnellate/anno di acciaio».

L’associazione ambientalista ritiene che «L’acquisizione di tale valutazione sia una priorità assoluta e che   non si possa procedere ad autorizzare il rifacimento  e la conseguente messa in esercizio dell’altoforno n. 5 e delle batterie 3/4/10/11 delle cokerie, destinati ad incrementare l’attuale produzione  e, quindi, le emissioni complessive dello stabilimento siderurgico di Taranto senza che vengano prima completate tutte le prescrizioni che avrebbero dovuto essere attuate entro il termine del 23 agosto 2023 e senza che sia stata acquisita preliminarmente la valutazione di impatto sanitario riferita all’attuale capacità produttiva autorizzata. In ogni caso, considerando la vita media di un altoforno compresa tra i 10 ed i 15 anni, il rifacimento di AFO5, che traguarderebbe una sua attività proiettata in ogni caso ben oltre il 2030, appare non congruente con gli obiettivi di riduzione delle emissioni di anidride carbonica. Legambiente ritiene quindi che, anche in considerazione delle sue emissioni climalteranti, non si debba procedere alla sua ricostruzione».

Per il Cigno Verde: «La produzione massima dello stabilimento siderurgico di Taranto, qualunque sia il suo assetto impiantistico, deve essere vincolata ad esiti di valutazione preventiva del suo impatto sanitario che escludano rischi inaccettabili per la salute e, in assenza, drasticamente ridotta a 3 milioni di tonnellate/anno. In base alla sentenza del Consiglio di Stato, Sezione IV, n. 983 dell’11 febbraio 2019, la V.I.S. è comunque necessaria quando le concrete evidenze istruttoriedimostrino la sussistenza di un serio pericolo per la salute pubblica e non vi è dubbio che tale circostanza si applichi nel caso dello stabilimento siderurgico di Taranto. In ogni caso, in assenza di profonde modifiche dell’attuale processo produttivocapaci di abbattere drasticamente sia l’impatto ambientale e sanitario che le emissioni climalteranti che esso comporta, Legambiente ritiene che la capacità produttiva autorizzata vada comunque progressivamente ridimensionata».

Inoltre, «Considerata la accertata cancerogenicità del benzene, gruppo 1 IARC, appare inaccettabile che la riduzione delle emissioni ipotizzata dal Gestore tra il quadro emissivo post operam (post interventi attuale AIA) e quello ante operam, sia pari a soli 58 kg/anno rispetto ad un flusso di massa totale ante operam pari a 11430 kg/anno: appena lo 0.5%. Legambiente ritiene pertanto necessario ed urgente l’individuazione e l’attuazione di misure volte ad abbatterne le emissioni sia relativamente ai valori medi annui, prendendo a riferimento gli standard più severi già adottati da altri Paesi, sia relativamente ai valori di esposizione di riferimento sul breve periodo». 

Per attenuare i rischi sanitari a carico della popolazione gli ambientalisti ritengono necessario, «In caso di Wind Days, incrementare il contributo dell’azienda volto a ridurre le emissioni. Più specificatamente si richiede, tra l’altro, di allungare i tempi di distillazione del coke da 24 a 28 ore e di ridurre almeno del 20% le operazioni di caricamento, sfornamento e spegnimento del coke rispetto a una giornata tipo».

Per quel che riguarda decarbonizzazione, «Gli interventi prospettati, relativi a “Iniezione polimeri altiforni” – i cui benefici attesi sono una riduzione delle emissioni di CO2 fino a 60.000 t/anno – appaiono irrisori rispetto alle emissioni dello stabilimento, pari, nel 2021, a quasi 10 milioni di tonnellate, e vanno in ogni caso valutati sotto il profilo delle emissioni inquinanti che gli stessi potrebbero comportare. Legambiente ritiene che il processo di decarbonizzazione vada avviato da subito e che la sua tempistica vada fortemente accelerata in modo da pervenire, ben prima del 2030, ad un primo obiettivo, costituito dall’abbandono della produzione a ciclo integrale. Ritiene altresì che vada sviluppato un programma sperimentale relativo all’utilizzo dell’idrogeno quale agente riducente, sulla scorta di quanto sta già avvenendo in Svezia con il progetto HYBRIT, che prevede di raggiungere entro il 2026 una capacità produttiva di 1,3 milioni di tonnellate di acciaio all’anno e di 2,7 nel 2030».

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