Legambiente ha pubblicato il rapporto “Biocarburanti, falsi rinnovabili – Il biodiesel è greenwashing, costa di più e aumenta le emissioni di CO2 dei trasporti” nel quale documenta che «L’80% del biodiesel immesso sul mercato in Italia nel 2021 deriva da olio di palma (vietato da quest’anno) e da “finte” biomasse di scarto come UCO (oli alimentari usati) cinesi e da grassi animali di categoria non ammessa, per sfruttare la “doppia contabilità” (doppio valore economico) nel mercato dei carburanti».
Il dossier del Cigno Verde esce proprio mentre si tiene a Roma l’Assemblea di Assopetroli alla quale partecipano il ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin e altri esponenti del governo e Legambiente prevede che «In quella sede i petrolieri italiani cercheranno di vendere le loro biomasse come “low carbon”, riduzione dell’inquinamento e delle emissioni di CO2. Se l’Italia sosterrà questa posizione in Europa rischia l’ennesima brutta figura. In tutta Europa infatti i biocarburanti oggi in uso sono frutto di indagini, revoca delle certificazioni e dei permessi».
Infatti, come scrive Andrea Poggio della segreteria nazionale Legambiente, «e Tira aria di riflusso nella moda dei biocarburanti in Europa. L’Agenzia norvegese per l’ambiente non ha più inserito i biocarburanti nelle proposte per il nuovo Piano Clima: troppi i dubbi sulle reali riduzioni di emissioni, dopo che anche la Commissione ha chiesto agli Stati membri – con la nuova Direttiva rinnovabili – di abbandonare progressivamente l’olio di palma e tutti i prodotti derivanti da coltivazione, perché sottrae coltivazioni alimentari. Rimangono le biomasse di scarto, ma se ne trovano quantità limitate, mentre i trasporti hanno necessità di sostituire decine di milioni di tonnellate di gasolio e benzina. Per la sola Italia, ben 36 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio nei trasporti (escluse le tratte internazionali) nel 2021. In Europa per il biodiesel nel 2019 sono state importate 1,5 milioni di tonnellate di Uco (oli esausti di cucina): la quota maggiore proviene dalla Cina (34%) e circa il 20% da Malesia e Indonesia, i maggiori produttori mondiali di olio di palma. In Italia nel 2021 abbiamo usato appena 45.000 tonnellate di Uco da rigorosa e tracciata raccolta differenziata nazionale, mentre abbiamo importato dalla Cina 410.000 tonnellate di presunti Uco. Se i cinesi riciclano tanto olio di frittura quanto gli italiani, servirebbe la raccolta differenziata di 500 milioni di cinesi solo per i biocarburanti usati in Italia. E per il resto d’Europa, un altro miliardo e mezzo di asiatici?»
L’8 Eur-Active ha rivelato che 151 milioni di litri di olio da cucina usato malese èsono stati esportati in Gran Bretagna e Irlanda, mentre, secondo un recente studio dell’International Council for Clean Transportation (Icct) Usa, la Malaysia ne raccoglie appena 70 milioni di litri, Meno della metà. Farm Europe ha portato la questione all’attenzione del difensore civico dell’Ue, che nella sua sentenza ha accusato la Commissione Ue di «Cattiva amministrazione» per aver rifiutato di dare formazioni sulle origini dell’Uco importato.
Nell’aprile 2021 6 Stati membri hanno scritto una lettera alla Commissione Ue nella quale parlano esplicitamente di “truffa biodiesel”. La Commissione ha risposto promettendo entro l’anno la predisposizione di un database certificato in grado di tracciare tutti i commerci di Uco internazionali per evidenziare eventuali frodi: ma nessuno lo ha ancora visto. Sempre ad aprile la stampa danese informava che l’International Sustainability & Carbon Certification aveva tolto la certificazione a 6 produttori asiatici di Uco perché non avevano saputo dimostrare la provenienza del loro olio. Il 28 aprile 2023 Bloomberg ha scritto che i «Produttori dell’Ue sono preoccupati di essere sottoquotati dalle aziende asiatiche che mescolano combustibili con materie prime più economiche e li etichettano erroneamente per qualificarsi per gli incentivi delineati dagli obiettivi di energia rinnovabile europei. La vendita di biocarburanti nell’Ue è allettante grazie agli incentivi: i carburanti ottenuti da prodotti di scarto hanno prezzi più alti rispetto a quelli ricavati direttamente dalle colture (olio di palma) perché il processo è più sostenibile».
Poggio conclude: «Il “movente” della frode è chiaro: sul mercato dei carburanti, gli oli vegetali e i grassi animali di scarto sono contabilizzati al doppio del valore dell’olio di palma. Conviene quindi a qualche mercante lungo la filiera, dai mulini di palma alle bioraffinerie spagnole o rumene, passando da navi cisterna e serbatoi di stoccaggio, miscelare o diluire olio di palma con fritture di involtini primavera. Una “truffa biodiesel” che si può stimare tra 600 milioni e il miliardo di euro all’anno».
Per questo, il presidente nazionale di Legambiengte Stafano Ciafani ha scritto una lettera al ministro Pichetto Fratin per chiedergli di >Aprire un’inchiesta sulle “false” rinnovabili usate e incentivate (mediante il mercato regolato dei “CIC”, Certificati di immissione al conmsumo). In Italia, ai dati GSE 2021, si tratta di circa 410 mila tonnellate di UCO di importazione cinese, a cui si aggiunge almeno la metà delle 441 mila tonnellate di grassi alimentari di categoria non corrispondente alle quantitò macellate in Europa, di 250 mila tonnellate di derivati da olio di palma (POME) e altre 200 milia tonnellate di prodotti di prima coltivazione in competizione diretta con le produzioni alimentari (come l’olio di ricino). Si gtratta talvolta di prodotti premiati sul mercato incentivato delle rinnovabili in competizione con le raccolte nazionali, come ben sanno i consorzi di riciclaggio italiani (Conoe e Renoils), a nostro parere in violazione di norme e decreti del Suo ministero. Nel report che le allego motiviamo sulla base di dati ufficiali queste affermazioni».
L’articolo Falsi carburanti rinnovabili. Legambiente: «Rischio frode per l’80% del biodiesel italiano» sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.