Al di là delle dichiarazioni d’intenti, la transizione verso l’economia circolare nell’Ue è praticamente ferma dal 2015, secondo i risultati di un nuovo audit appena pubblicati dalla Corte dei conti europea.

Un’economia circolare preserva quanto più a lungo possibile il valore dei prodotti, dei materiali e delle risorse e riduce al minimo i rifiuti. Questo comporta vantaggi significativi in termini di sostenibilità – dato che «circa l’80% dell’impatto ambientale» di un prodotto dipende dalla sua progettazione –, per i cittadini che possono godere di beni più durevoli, e per le imprese che godono di una maggiore efficienza nell’uso delle risorse e una minore esposizione alla volatilità dei prezzi.

Eppure, senza strumenti adeguati di politica industriali, tutti questi vantaggi restano nell’ombra e la transizione verso l’economia circolare ferma al palo.

La Corte dei conti parla di «progressi molto modesti», evidenziando che tra il 2015 e il 2021, il tasso medio di circolarità per tutti gli Stati dell’Ue‑27 è aumentato soltanto dello 0,4%. Sette Paesi – Lituania, Svezia, Romania, Danimarca, Lussemburgo, Finlandia e Polonia – hanno addirittura fatto passi indietro.

Gli auditor della Corte concludono pertanto che l’ambizione dell’Ue di raddoppiare la percentuale di materiali riciclati e reintrodotti nell’economia entro il 2030 appare «decisamente difficile da realizzare».

Ma cosa ha fatto in concreto l’Ue per raggiungere quest’obiettivo? La Commissione, ricorda la Corte, ha preparato due piani d’azione, entrambi non vincolanti: il primo, del 2014, conteneva 54 azioni specifiche; il secondo, del 2020, ha aggiunto 35 nuove azioni e fissato obiettivi che raddoppiano il tasso di circolarità, ossia la quota di materiale riciclato e reintrodotto nell’economia, per il 2030.

L’Ue ha messo inoltre a disposizione finanziamenti per oltre 10 miliardi di euro tra il 2016 e il 2020, per investire nell’innovazione verde ed aiutare le imprese ad essere all’avanguardia nella transizione verso l’economia circolare.

Ma gli Stati membri «hanno speso la stragrande maggioranza di questi fondi per gestire i rifiuti invece che impedirne la produzione attraverso la progettazione circolare, che avrebbe avuto probabilmente un impatto maggiore», evidenzia la Corte.

«Preservare i materiali e ridurre al minimo i rifiuti è fondamentale se si vuole che l’Ue utilizzi efficientemente le risorse e raggiunga gli obiettivi ambientali del Green deal – commenta Annemie Turtelboom, membro della Corte – Ma le azioni finora intraprese dall’Ue sono state inefficaci e la transizione verso l’economia circolare è quasi ferma in molti paesi europei».

Anche in Italia il quadro sta peggiorando, sebbene resti migliore della media Ue. L’ultimo briefing prodotto sul tema dall’Agenzia europea dell’ambiente mostra che nel 2021 tasso di utilizzo di materia prima proveniente dal riciclo è stato pari al 18,4% nel nostro Paese, riportando l’Italia alla performance del 2017. Al contempo, nel macrosettore dell’economia circolare nazionale stanno diminuendo pure i posti di lavoro. E senza una politica industriale adeguata a sostegno, la situazione probabilmente continuerà a peggiorare.

L’articolo Corte dei conti europea, l’economia circolare in Ue è al palo: «Progressi molto modesti» sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.