Lo studio “Microplastics in marine mammal blubber, melon, & other tissues: Evidence of translocation” pubblicato online e che comparirà sulla versione cartacea di Environmental Pollution del 15 ottobre, ha tovato microscopiche particelle di plastica sono nei grassi e nei polmoni di due terzi dei mammiferi marini analizzati.  Il team di ricercatori del Duke University Marine Lab e del Department of ecology and evolutionary biology dell’iuniversità di Toronto dice che «La presenza di particelle e fibre polimeriche in questi animali suggerisce che le microplastiche possono uscire dal tratto digestivo e depositarsi nei tessuti».

I ricercatori statunitensi e canadesi sottolineano che «I danni che le microplastiche incorporate potrebbero causare ai mammiferi marini devono ancora essere determinati, ma la plastica è stata implicata da altri studi come possibili hormone mimics e interferenti endocrini».  L’autore corrispondente dello studio, Greg Merrill Jr. del Duke University Marine Lab, evidenzia che «Questo è un onere aggiuntivo oltre a tutto ciò che devono affrontare: cambiamento climatico, inquinamento, rumore, e ora non solo ingeriscono plastica e combattono con i grossi pezzi nello stomaco, ma vengono anche assorbiti al loro interno. Alcune parti della loro massa ora sono di plastica».

I campioni per realizzare questo studio sono stati acquisiti da 32 mammiferi marini  spiaggiati o raccolti per sla caccia indigena di sussistenza tra il 2000 e il 2021 in Alaska, California e North Carolina. Tra le 12 specie di animali esaminati c’è anche una foca barbata (Erignathus barbatus), che aveva anch’essa microplastica nei suoi tessuti.

Alla Duke University spiegano che «Le materie plastiche sono attratte dai grassi – sono lipofile – e quindi si ritiene che siano facilmente attratte dal grasso, dal melone che produce il suono sulla fronte di un odontoceto e dai cuscinetti di grasso lungo la mascella inferiore che focalizzano il suono verso le orecchie interne dei cetacei. Lo studio ha campionato questi tre tipi di grassi più i polmoni e ha trovato la plastica in tutti e quattro i tessuti. Le particelle di plastica identificate nei tessuti variavano in media da 198 micron a 537 micron: un capello umano ha un diametro di circa 100 micron».

Merrill sottolinea che,«Oltre a qualsiasi minaccia chimica rappresentata dalla plastica, i pezzi di plastica possono anche strappare e abradere i tessuti. Ora che sappiamo che la plastica è in questi tessuti, stiamo osservando quale potrebbe essere l’impatto metabolico».

Per la fase successiva della sua ricerca di tesi, Merrill utilizzerà linee cellulari cresciute da tessuto di balena sottoposto a biopsia per eseguire test tossicologici sulle particelle di plastica. Ma intanto i ricercatori statuinitensi e canadesi hanno scoperto che  «Le fibre di poliestere, un comune sottoprodotto delle lavatrici, erano le più comuni nei campioni di tessuto, così come il polietilene, che è un componente dei contenitori per bevande. La plastica blu è stata quella con il colore più comune trovato in tutti e quattro i tipi di tessuto».

Uno studio pubblicato nel 2022 su Nature Communications ha stimato, sulla base delle concentrazioni note di microplastiche al largo della costa pacifica della California, che una balenottera azzurra (Balaenoptera musculus) che si nutre filtrando l’acqua, potrebbe inghiottire 95 libbre di rifiuti di plastica al giorno mentre cattura minuscole creature nella colonna d’acqua.

Merril conclude: «Anche balene e delfini che predano pesci e altri organismi più grandi potrebbero accumulare la plastica che si è accumulata negli animali che mangiano. Non abbiamo fatto i conti, ma la maggior parte delle microplastiche probabilmente passa attraverso l’intestino e viene defecata. Ma una parte di essa finisce nei tessuti degli animali. Per me, questo sottolinea solo l’ubiquità della plastica oceanica e la portata di questo problema. Alcuni di questi campioni risalgono al 2001 e sono l’esempio che questo accade da almeno 20 anni».

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