Per colpa della crisi climatica l’Italia ha già perso il 20% della disponibilità d’acqua rispetto al 1921-1950, un trend che sta peggiorando e che impone innanzitutto di non sprecare nemmeno una goccia.
Invece nel Paese il 41,8% dell’acqua immessa negli acquedotti si perde per strada, ancora prima di uscire dal rubinetto; significa buttare circa 150 litri al giorno per ogni abitante.
Grazie a investimenti maggiori della media nazionale sul servizio idrico integrato, in Toscana va un po’ meglio – le perdite di rete sono attorno al 40%, anche se con dati molto eterogenei sul territorio –, ma c’è ancora molto da migliorare. Una spinta decisiva sta arrivando grazie alle risorse Pnrr che i gestori del servizio sono riusciti a conquistare, col coordinamento dell’Autorità idrica toscana (Ait).
Oltre ai capitoli dedicati alle grandi infrastrutture idriche e alla depurazione, le altre due principali linee d’investimento del Pnrr sul fronte idrico sono infatti incentrate sulle perdite di rete e sulla gestione dei fanghi di depurazione delle acque reflue civili.
«Nonostante le perdite di rete siano ancora relativamente elevate in termini percentuali – ci spiega Andrea Cappelli, dirigente del settore tecnico Ait –, guardando all’indicatore Arera sulle perdite idriche lineari, che valuta i metri cubi d’acqua persi al giorno per km di condotta, la Toscana con 11,73 mc/km/gg risulta già in classe A. Il dato percentuale è legato dunque anche alla quantità di condotte gestite».
In termini di volume, a quanto ammonta l’acqua sprecata attraverso le perdite di rete a livello regionale?
«Si parla di 172 milioni di mc d’acqua l’anno, su 427 mln mc prelevati. Ogni anno le perdite di rete vengono ridotte, e devono continuare a diminuire perché si tratta di un beneficio enorme in termini di risorsa idrica disponibile: solo dal 2018 al 2021 le perdite di rete si sono ridotte di 33 mln di mc. Un miglioramento che ha contribuito a evitare gravi problemi di emergenza idrica durante la siccità dello scorso anno (quella del 2022 è stata più grave in Europa da 500 anni, ndr)».
Quanti investimenti saranno sostenuti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) su questo fronte?
«Ad oggi i gestori del servizio idrico finanziati dalla linea M2C4-l4.2 sono Publiacqua, Gaia e Nuove acque, con progetti per 121 milioni di euro di cui 87,2 mln co-finanziati dal Pnrr, ma siamo ancora in attesa di capire se ci saranno altri finanziamenti».
Essendo finanziati dal Pnrr si tratta di lavori che dovranno essere conclusi entro il 2026. Con quali benefici?
«L’obiettivo del Pnrr è ridurre del 35% le perdite di rete nel bacino dei Comuni che riceve i finanziamenti, dunque in quelle aree si scenderebbe da un dato medio di circa il 40% al 26%. In altre parole si eviterebbe la dispersione di 37 mln mc d’acqua all’anno; si tratta di risorse che potranno dare più tranquillità, nel caso di nuove fasi di siccità».
Evitare tali sprechi equivale a guadagnare annualmente l’acqua contenuta in 14.800 piscine olimpiche, o in circa metà del lago di Bilancino. Anche per questo con le risorse del Pnrrnon verranno finanziati grandi nuovi invasi?
«Ridurre le perdite di rete è fondamentale, ma gli invasi come anche i meccanismi di stoccaggio sotterranei permettono di trattenere l’acqua prima che se ne vada. Offrono alternative nell’approvvigionamento, da cui passa la resilienza del territorio: è possibile gestire la risorsa idrica quando ci sono delle scelte da poter fare, alternando i prelievi tra falde, corpi idrici superficiali, bacini di approvvigionamento. Anche i grandi acquedotti finanziati dal Pnrr contribuiscono a dare altre opzioni. Si tratta di approcci complementari, non alternativi tra loro».
In concreto come verranno realizzati gli investimenti contro le perdite di rete?
«In prevalenza tramite la digitalizzazione dell’infrastruttura, che passa dalla creazione di distretti di misura monitorati costantemente e contemporaneamente. Significa suddividere ogni rete idrica in sottoreti dotate di misuratori telecontrollati, in modo da sapere quanta acqua entra e quanta ne esce. Confrontando i dati in tempo reale con lo storico dei consumi potremo così individuare più facilmente le eventuali perdite di rete cosiddette invisibili, che sono la maggioranza, e intervenire per risolvere il problema.
Inoltre la digitalizzazione porta con sé un miglior controllo della pressione di rete: quando i consumi sono più bassi, ad esempio, è opportuno regolare la pressione in modo che non sia troppo alta, così da minimizzare le perdite di rete e non stressare le condotte.
Il principio generale di questi interventi è ottimizzare sempre più la gestione della rete e quindi aumentare l’efficienza, ridurre le perdite e allungare la vita all’infrastruttura».
Passiamo alla linea d’investimento M2C1-l1.1 del Pnrr, quella dedicata ai fanghi di depurazione delle acque reflui civili: quanti di questi fanghi si generano in Toscana?
«Storicamente venivano generate circa 120mila tonnellate l’anno, oggi siamo attorno alle 100mila e non perché depuriamo meno, ma perché si è ridotto il volume di tali fanghi: quando escono dagli impianti di depurazione sono composti per il 90% d’acqua, un dato che pian piano è stato spinto al 75-80% grazie a meccanismi di disidratazione, ad esempio tramite apposite macchine che spremono i fanghi.
Ma una volta usciti dagli impianti di depurazione, i fanghi non hanno concluso il loro ciclo: si tratta di rifiuti speciali che devono essere ulteriormente gestiti. Gli investimenti Pnrr si muovono proprio nella logica di ridurre ulteriormente questi fanghi e avvicinarsi alla chiusura del ciclo».
Fino a pochi anni fa questi fanghi trovavano applicazione diretta in agricoltura, ma le contraddizioni della normativa in materia hanno reso difficile percorrere questa strada. Oggi come vengono gestiti?
«Circa il 90% dei fanghi toscani di depurazione civile viene inviato dai gestori fuori regione, con un significativo aumento dei costi, perché c’è scarsa disponibilità di soluzioni a livello locale. Si tratta di materiali che possono trovare ancora applicazione in agricoltura, ad esempio passando attraverso una fase di compostaggio che li rende più stabili. In alternativa possono essere inviati a recupero energetico, come nel caso di termovalorizzatori o cementifici».
A quanto ammontano e su cosa si concentrano gli investimenti Pnrr?
«Gli investimenti previsti da questa linea sono 34,7 mln di euro, pressoché interamente finanziati dal Pnrr, e verranno realizzati da Publiacqua, Nuove Acque, Asa e Acquedotto del Fiora. Si concentrano su impianti di essiccamento (nel caso di Publiacqua a Case Passerini e di Nuove Acque ad Arezzo) e di digestione anaerobica, grazie alla quale sarà possibile ottenere dai fanghi anche del biometano; sotto questo profilo, il progetto Asa per Livorno punta a gestire i fanghi insieme alla raccolta differenziata dell’organico (Forsu), dato che entrambe le matrici producono molto biogas».
Una soluzione innovativa per la gestione dei fanghi di depurazione passa anche dalla tecnologia di carbonizzazione idrotermale (Htc): perché non è stata prevista tra gli investimenti Pnrr del servizio idrico?
«Si tratta di una tecnologia innovativa quanto complessa, che punta a chiudere il ciclo di gestione in quanto in uscita prevede prodotti impiegabili come ammendanti o come combustibili. Penso sia un bene permettere la realizzazione di questi impianti (in Toscana lo prevede già il progetto per Scarlino di Iren, che non fa parte però del servizio idrico integrato, ndr), ma non c’erano progetti in stato avanzato su questo fronte tanto da essere candidabili al Pnrr, che impone di terminare i lavori al 2026».
Quali saranno dunque i vantaggi per la gestione dei fanghi civili, una volta conclusi i progetti finanziati dal Pnrr?
«Concentrando gli investimenti su essiccazione e biodigestione anaerobica, contiamo di ridurre di almeno il 40% l’ammontare annuo di fanghi da gestire, che dovrebbe dunque passare dalle attuali 100mila tonnellate a circa 60mila. La quantità sarà quasi dimezzata, e i materiali in uscita avranno anche caratteristiche migliori, rendendoli così più facilmente recuperabili».
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