La Commissione Europea ha promosso il riuso per dare una spinta all’economia circolare
Negli ultimi mesi della scorsa legislatura europea sono stati numerosi i temi legati al Green Deal su cui alto è stato il volume della polemica, soprattutto nel nostro Paese in quanto il Governo italiano era tra quelli che nel Consiglio Europeo frenava di più rispetto a normative che spingevano a favore del Green Deal. È stato così sull’elettrificazione dei trasporti con il contrasto alla normativa che impedisce di immettere sul mercato auto nuove alimentate da motore endotermico dal 2035, oppure sulla cosiddetta direttiva sulle “case green” per la quale il nostro Governo, dopo averla osteggiata, sino adesso non ne ha previsto nemmeno il recepimento non avendola inserita tra quelle da approvare nella legge di delegazione europea recentemente inviata al Parlamento. E anche sulla difesa della biodiversità e sulla riduzione della chimica in agricoltura l’Italia si è distinta nelle attività di freno, che in questo caso hanno addirittura avuto successo, grazie alla retromarcia innescata dalla Von Der Leyen davanti a qualche trattore in trasferta a Bruxelles.
In questa cornice generale una storia e un percorso particolare ha avuto il Regolamento sugli imballaggi.
Per spiegare bene l’oggetto del contendere è utile usare qualche riga per riassumere il non banale schema in cui si forma la legislazione europea nel confronto – anche di potere – tra le tre istituzioni: Commissione, Parlamento e Consiglio (i governi dei paesi membri).
In Europa funziona così (consentendoci una sintesi): la Commissione propone, il Parlamento esamina la proposta e in caso la emenda. Per ottenere il definitivo via libera, qualsiasi norma deve passare dalla fase successiva, detta “trilogo”, in cui siedono tutte e tre le istituzioni – compreso il Consiglio, espressione dei Governi dei Paesi membri – per arrivare a un compromesso che il Parlamento deve di nuovo approvare e inviare al Consiglio; solo con l’ok definitivo di quest’ultimo (a maggioranza qualificata o all’unanimità a seconda della materia in esame) la norma arriva in Gazzetta ed entra nel corpo normativo europeo.
Infine, le norme europee si distinguono tra Direttive, che devono essere recepite da ogni Stato Membro, e Regolamenti, che sono invece immediatamente operativi sull’intero territorio dell’Unione Europea. Sugli imballaggi la Commissione ha scelto sin dall’inizio di seguire la seconda strada, quella del Regolamento. E anche questa scelta, come vedremo, è stata oggetto di polemica.
Partiamo quindi dall’inizio di questa storia che risale a quattro anni fa segnalando subito un problema generale che il nostro Paese ha rispetto all’Europa: la sostanziale assenza del suo sistema – Governo, ma anche imprese – nella cosiddetta fase “ascendente” delle norme, quando le stesse si preparano nelle stanze della Commissione. Un’assenza colpevole che poi viene rimpianta (troppo tardi) quando la norma “esce” e spesso è difficilmente emendabile.
Quindi, per rimanere sullo specifico degli imballaggi, già nel suo programma di lavoro per il 2021, la Commissione europea aveva proposto, nell’ambito del Green Deal europeo e del nuovo Piano d’azione per l’economia circolare, una revisione della direttiva 94/62/CE sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio. La proposta è stata pubblicata dalla Commissione il 30 novembre 2022.
Riuso protagonista
Soltanto al momento della pubblicazione l’industria italiana si rende conto che il principio ispiratore della norma “promuovere il riuso” rischia di mettere in difficoltà il sistema italiano che sin dal 1997 con il Decreto Ronchi è basato sul riciclo dei materiali. E qui si innesca la prima polemica: gli industriali italiani dicono «perché un Regolamento? Meglio la Direttiva che lascia a ogni stato membro più ampia discrezionalità per difendere il proprio sistema». Ma la Commissione non è d’accordo perché si tratta di un’implementazione di una precedente Direttiva. Serve un passo avanti decisivo ed è necessario che sai uniforme in tutto il territorio europeo altrimenti si andrebbe a ledere un altro principio fondamentale della UE: il mercato unico.
Intendiamoci, la Commissione non sbaglia affatto, sia nella scelta dello strumento sia nel promuovere il riuso che, almeno in via teorica, è il modo migliore per non far entrare affatto un imballaggio nel circuito dei rifiuti. È pur vero che l’Italia ha raggiunto risultati assai lusinghieri (record europei) nel riciclo e che quindi nella trattativa che si è innescata dopo la pubblicazione della proposta della Commissione conclusasi con l’approvazione da parte del Parlamento in via definitiva il 24 aprile 2024, si è arrivati a una serie di compromessi che hanno alla fine accontentato quasi tutti gli operatori (tranne quelli che trattano imballaggi in plastica che ritengono essere stati penalizzati proprio perché la scelta finale non avrebbe tenuto in adeguata considerazione la loro capacità di riciclo). Discorso a parte merita la plastica biodegradabile e compostabile (una filiera che vede l’industria Italia leader in Europa) che ha visto riconosciute le proprie specificità e qualità ambientali.
Ma vediamo nel dettaglio cosa prevede il Regolamento:
· tutti gli imballaggi dovranno essere riciclabili secondo stringenti criteri di progettazione per il riciclaggio e le classi di prestazione di riciclabilità saranno elaborati sulla base del materiale predominante. Esenti: imballaggi fabbricati a partire da legno leggero, sughero, tessuto, gomma, ceramica, porcellana o cera;
· a partire da 18 mesi dalla data di entrata in vigore del Regolamento gli imballaggi a contatto con i prodotti alimentari non sono immessi sul mercato se contengono sostanze perfluoroalchiliche (PFAS) in concentrazione pari o superiore specifici valori limite;
· entro il 1º gennaio 2030 o 36 mesi dopo la data di entrata in vigore degli atti delegati, se posteriore, gli operatori economici che riempiono gli imballaggi in imballaggi multipli, imballaggi per il trasporto o imballaggi per il commercio elettronico garantiscono che la proporzione dello spazio vuoto non superi il 50 %;
· determinati tipi di imballaggi di plastica monouso saranno vietati a partire dal 1° gennaio 2030. Tra questi figurano:
– imballaggi multipli di plastica monouso: imballaggi di plastica usati presso i punti vendita per raggruppare prodotti venduti in bottiglie, lattine, barattoli, vasi (es: film estensibili, film di plastica termoretraibili);
– imballaggi di plastica monouso per prodotti ortofrutticoli freschi non trasformati (Reti, sacchetti, vassoi, contenitori);
– imballaggi di plastica monouso per alimenti e bevande riempiti e destinati al consumo nei locali del settore alberghiero, della ristorazione e del catering (vassoi, piatti e bicchieri monouso, sacchetti, scatole);
– imballaggi di plastica monouso per condimenti, conserve, salse,
– borse di plastica in materiale ultraleggero (flaconi di shampoo, flaconi per lozioni per mani e corpo);
· gli imballaggi utilizzati per il trasporto devono essere costituiti da imballaggi riutilizzabili nell’ambito di un sistema di riutilizzo:
– dal 1° gennaio 2030, almeno per il 40%;
– dal 1º gennaio 2040, almeno per il 70%;
– esenti: trasporto di merci pericolose;
· gli imballaggi multipli sotto forma di scatole dovranno essere costituiti da imballaggi riutilizzabili nell’ambito di un sistema di riutilizzo:
– dal 1° gennaio 2023 almeno per il 10%;
– dal 1º gennaio 2040 almeno per il 25%;
· i distributori finali di bevande alcoliche e analcoliche dovranno garantire che i prodotti siano messi a disposizione in imballaggi riutilizzabili:
– dal 1º gennaio 2030, almeno il 10%;
– dal 1º gennaio 2040, almeno il 40%.
Qui le esenzioni previste sono state particolarmente rilevanti perché hanno “salvato” i materiali poliaccoppiati utilizzati nei cartoni per bevande, in considerazione della loro riciclabilità. Infatti sono esentate dal divieto le bevande considerate altamente deperibili, quali il latte e prodotti lattiero-caseari, i prodotti vegetali sostitutivi del latte, i prodotti vitivinicoli anche aromatizzati e superalcolici.
A decorrere dal 2030 l’operatore economico si adopera per offrire il 10% dei prodotti in un formato di imballaggio riutilizzabile in modo da rispettare anche gli obiettivi generali di riduzione degli imballaggi:
. 5% entro il 2030;
. 10% entro il 2035;
. 5% entro il 2040.
Infine, il punto più discusso almeno in Italia, la cui definizione, ha lasciato scontenti sia chi puntava a un’introduzione su vasta scala del deposito cauzionale e chi invece vede quella soluzione come fumo negli occhi.
Entro il 1º gennaio 2029 gli Stati membri adottano le misure necessarie per garantire la raccolta differenziata di almeno il 90% all’anno per bottiglie di plastica e contenitori di metallo monouso per bevande di max tre litri.
Sono esclusi dall’obbligo: vino e categorie di prodotti vitivinicoli, prodotti vitivinicoli aromatizzati, bevande alcoliche, latte e prodotti lattiero-caseari.
Gli Stati membri possono però essere esentati alle seguenti condizioni:
· il tasso di raccolta differenziata è superiore all’80 % in peso degli imballaggi di questo formato messi a disposizione sul mercato per la prima volta nel territorio di detto Stato membro nell’anno civile 2026;
· al più tardi 12 mesi prima del termine lo Stato membro notifica alla Commissione la domanda di deroga e presenta un piano di attuazione indicante una strategia che garantisca il raggiungimento del 90%;
· per concludere, gli Stati membri adottano le misure necessarie per realizzare i seguenti obiettivi di riciclaggio su tutto il loro territorio:
– entro il 31 dicembre 2025 almeno il 65 % in peso del totale dei rifiuti di imballaggio prodotti:
– entro il 31 dicembre 2025 le seguenti percentuali minime in peso degli specifici materiali contenuti nei rifiuti di imballaggio:
– 50 % per la plastica;
– 25 % per il legno;
– 70 % per i metalli ferrosi;
– 50 % per l’alluminio;
– 70 % per il vetro;
– 75 % per la carta e il cartone;
– entro il 31 dicembre 2030 almeno il 70 % in peso di tutti i rifiuti di imballaggio prodotti;
– entro il 31 dicembre 2030, le seguenti percentuali minime in peso dei seguenti materiali specifici contenuti nei rifiuti di imballaggio prodotti:
– 55 % per la plastica;
– 30 % per il legno;
– 80 % per i metalli ferrosi;
– 60 % per l’alluminio;
– 75 % per il vetro;
– 85 % per la carta e il cartone.
Come si vede l’Unione Europea ha volto normare in dettaglio; adesso sta al sistema industriale italiano che ha dimostrato già molte capacità in questo campo, adeguarsi e saperne cogliere anche le opportunità di sviluppo.
*con la collaborazione di Giulia Bigini, Eprcomunicazione
Questo articolo è tratto dal numero di giugno-luglio 2024 di QualEnergia