Mentre c’è chi ancora favoleggia il ritorno all’energia nucleare per l’Italia, sul tema la Commissione europea sta portando avanti due distinte procedure d’infrazione contro il nostro Paese, che da decenni non ha più centrali attive ma evidentemente non sa gestire adeguatamente neanche i rischi rimasti.
Le due procedure d’infrazione riguardano da una parte il mancato recepimento della legislazione Ue in materia di radioprotezione, dall’altra l’inadeguata gestione dei rifiuti radioattivi, reputata non in linea con le norme europee. Criticità che – insieme ai molti altri problemi legati all’energia nucleare, a partire dai costi economici proibitivi – rendono sempre più impensabile un ritorno all’atomo per il nostro Paese.
Ieri la Commissione ha infatti deciso d’inviare all’Italia una lettera di costituzione in mora (il primo passaggio previsto dall’iter delle procedure d’infrazione europee) per mancato rispetto di una sentenza della Corte di giustizia dell’Ue, che a sua volta aveva constatato che l’Italia non aveva recepito la direttiva riveduta sulle norme fondamentali di sicurezza previste dalla direttiva 2013/59/Euratom sulla radioprotezione, che indica come proteggere la popolazione, i lavoratori e i pazienti dai pericoli derivanti dall’esposizione alle radiazioni ionizzanti, comprendendo anche disposizioni relative alla preparazione all’emergenza e alla risposta in caso di emergenza, che sono state rafforzate a seguito dal disastro nucleare di Fukushima.
Gli Stati membri erano tenuti a recepire la direttiva entro il 6 febbraio 2018, ma nel gennaio 2021 la Corte Ue ha pronunciato sentenza nella causa C-744/19, stabilendo che l’Italia non aveva recepito la direttiva nel diritto nazionale; la Commissione ha dunque avviato un confronto nel merito con le autorità italiane, concludendo a sua volta che «le misure adottate dall’Italia non costituiscono una piena esecuzione della sentenza». Da qui la decisione d’inviare una lettera di costituzione in mora: ora l’Italia ha 2 mesi per rispondere, dopodiché la Commissione potrà decidere di deferire nuovamente il caso alla Corte Ue e chiedere l’irrogazione di sanzioni pecuniarie.
Contemporaneamente, ieri la Commissione ha inviato all’Italia anche un parere motivato – il secondo step previsto dalle procedure d’infrazione – a causa dell’adozione di un programma nazionale di gestione dei rifiuti radioattivi non interamente in linea con la direttiva in materia (direttiva 2011/70/Euratom del Consiglio).
Un problema che riguarda non solo la presenza o nel nostro caso il decommisioning delle centrali nucleari (che l’Italia ha completato al 35,5% dopo 23 anni di attività), ma anche la gestione di rifiuti radioattivi legate ad attività comuni che spaziano dagli scopi medici a quelli di ricerca: ecco perché tutti gli Stati membri dell’Ue producono rifiuti radioattivi, che siamo chiamati a gestire in modo responsabile.
«La direttiva – spiega la Commissione – impone agli Stati membri di elaborare e attuare programmi nazionali per la gestione di tutto il combustibile nucleare esaurito e tutti i rifiuti radioattivi che hanno origine nel loro territorio, dalla produzione allo smaltimento. I programmi nazionali presentati da Croazia, Estonia, Italia, Portogallo e Slovenia sono risultati non conformi a determinati requisiti della direttiva: gli Stati membri interessati dispongono ora di 2 mesi per rimediare alle carenze individuate dalla Commissione. In assenza di una risposta soddisfacente, la Commissione potrà decidere di deferire i casi alla Corte di giustizia dell’Ue».
L’articolo Nucleare, dalla Commissione Ue una doppia procedura d’infrazione contro l’Italia sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.