Secondo l’indagine “Il riutilizzo delle acque reflue in Italia”, realizzata da Utilitalia (la Federazione delle imprese idriche, ambientali ed energetiche) e presentata oggi a Napoli durante il convegno “Climate change e servizio idrico: la sfida del Pnrr per un sistema efficiente e resiliente”, organizzato da Utilitalia, università degli Studi Federico II e l’Associazione Idrotecnica Italiana, «Il riuso delle acque reflue depurate in agricoltura rappresenta una soluzione per fronteggiare periodi particolarmente siccitosi come quello che stiamo attraversando, che dovrebbe diventare strutturale applicando all’acqua gli stessi principi dell’economia circolare. Si tratta di un potenziale enorme – 9 miliardi di metri cubi all’anno – che in Italia viene sfruttato solo per il 5% (475 milioni di metri cubi). Oltretutto il regolamento europeo 2020/741 prevede il riuso delle acque da parte degli Stati Membri a partire dal giugno del 2023, e quindi l’Italia deve adeguare velocemente la normativa di riferimento – risalente al 2003 – per incentivare questa pratica».
Dal campione analizzato da Utilitalia – equivalente a circa 21 milioni di abitanti serviti – è emerso che «Sono già esistenti e funzionanti 79 impianti per la produzione di acque di riuso con una potenzialità complessiva pari a 1,3 milioni di metri cubi al giorno (475 milioni di metri cubi in un anno). Di contro, l’uso diretto per l’irrigazione attraverso reti dedicate è ancora piuttosto scarso: di questi 79 impianti, solo 16 sono dotati di una specifica rete di trasporto e distribuzione dell’acqua affinata. L’utilizzo agricolo indiretto, quello che si avvale per lo più di preesistenti canali irrigui, rimane la pratica più diffusa. Oltretutto sono 23 le installazioni per le quali non è ancora definita una specifica utilizzazione finale, a dimostrazione delle incertezze e dei dubbi che ancora sono presenti a livello di utilizzatori finali potenziali».
Altri 24 impianti sono programmati e dovrebbero essere tutti ultimati entro 5 anni, mentre su ulteriori 40 sono in corso studi di fattibilità. L’indagine fa notare che «In un arco di breve-medio periodo, è dunque legittimo attendersi quasi un raddoppio – da 79 a 143 – delle installazioni operative. Se si considera inoltre che in Italia sono attivi 18.140 impianti di depurazione, di cui 7.781 dotati di un trattamento secondario/avanzato che si potrebbero potenziare per renderli idonei alla produzione di acqua affinata per il riuso, si comprende che il potenziale sviluppo di questo settore è enorme».
Il vicepresidente di Utilitalia, Alessandro Russo, sottolinea che «Il nostro Paese ha depuratori di ottima qualità da cui fuoriescono circa 9 miliardi di metri cubi di acqua ogni anno. Si tratta di una grande opportunità che, soprattutto in periodi siccitosi come quello che stiamo attraversando, potrebbe sostenere in maniera importante i vari usi dell’acqua ed in particolare quello del comparto agricolo. Bisogna però valutare attentamente le singole iniziative considerandone i benefici ed i costi nonché superare i problemi relativi alla governance, alla mancanza di fondi dedicati ad infrastrutture che favoriscano soluzioni orientate al riuso e alla corretta attribuzione delle responsabilità. L’indirizzo su come ripartire i costi di affinamento, stoccaggio e del trasporto spetta al decisore politico ma è innegabile che i margini di crescita siano evidenti, anche se resta fondamentale il miglioramento delle infrastrutture a servizio dei diversi usi».
Secondo il Commissario unico per la depurazione, Maurizio Giugni, «Il complesso percorso di messa in regola dell’Italia, e del Mezzogiorno in particolare, in campo fognario e depurativo può essere l’occasione per innovare il sistema nel senso dell’economia circolare. Nuovi depuratori sono in fase di realizzazione e di altri è in corso l’adeguamento funzionale, con tecnologie avanzate che restituiranno un refluo di qualità in tanti territori fin qui sprovvisti di infrastrutture efficienti e che, per questo motivo, sono sanzionati dall’Europa. Intensificare il riutilizzo delle acque depurate a fini irrigui è una strada necessaria ma servono tante azioni congiunte, penso ad esempio al recupero delle perdite nei sistemi idropotabili e irrigui e alla regolazione dei deflussi con grandi o piccoli invasi, per rispondere in maniera non emergenziale, ma strutturale, alla sete della terra».
Un altro contributo al pressante dibattito su siccità e risorsa idrica viene dalla Società italiana di medicina ambientale (Sima), secondo la quale «Per colmare il gap degli investimenti sul “Sistema Acqua” servirebbero in Italia 12 miliardi di euro entro il 2030, oltre a 6 miliardi all’anno solo per la depurazione e la manutenzione della rete idrica».
Sima evidenzia che «L’Italia investe oggi sulla rete idrica oltre il 50% in meno rispetto alla media europea, e paga il conto di investimenti assai ridotti rispetto agli altri Stati membri. I Paesi Ue destinano alla manutenzione e depurazione delle acque l’equivalente di circa 100 euro a cittadino, in Italia meno della metà: appena 48 euro ad abitante. Per colmare tale gap servirebbero subito 12 miliardi di euro da investire sul sistema acqua, a cui vanno aggiunti 6 miliardi di euro all’anno solo per la manutenzione della rete e la depurazione dell’acqua. Numeri che, tuttavia, si scontrano con i fondi previsti dal Pnrr, nel quale solo 2,8 miliardi di euro sono destinati al sistema acqua».
In Italia, a causa della rete “colabrodo”, 1 capoluogo su 3 registra perdite totali di acqua superiori al 45%, con valori che oltrepassano la soglia del 65% a Siracusa (67,6%), Belluno (68,1%), Latina (70,1%) e Chieti (71,7%). All’opposto, la situazione migliore si registra a Macerata (9,8% di perdite), Pavia (11,8%), Como (12,2%), Biella (12,8%), Milano (13,5%), Livorno (13,5%) e Pordenone (14,3%).
Il presidente Sima, Alessandro Miani, conclude: «Uno dei principali problemi che attanaglia il nostro sistema idrico è la presenza di un elevato numero di operatori che gestiscono la distribuzione dell’acqua, Se ne contano in Italia oltre 700, una eccessiva frammentazione che appesantisce il processo burocratico complessivo e porta ad allontanare investimenti privati, oggi più che mai necessari per modernizzare la rete. Il problema della siccità, inoltre, si ripresenterà con maggiore frequenza negli anni a venire: per questo serve ripensare i metodi di coltivazione in agricoltura, abbandonando le culture che richiedono enormi quantità di acqua, recuperando i fanghi destinati alle biomasse e utilizzando le moderne tecnologie (sonde, sensori, mini-stazioni meteo, irrigazione sottofoglia) in grado di abbattere i consumi idrici fino al -30%. Come Sima siamo favorevoli alla nomina di un commissario straordinario che abbia poteri in grado di superare la burocrazia e realizzare progetti di lunga durata, partendo dall’ammodernamento delle condutture che, in alcuni casi, sono così obsolete e vecchie da contenere ancora amianto».
L’articolo Siccità, Utilitalia: utilizziamo solo il 5% delle acque depurate, un potenziale di 9 miliardi di m3 sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.