Secondo lo studio “Avaliação de risco à saúde atribuível ao consumo de pescado contaminado por metilmercúrio na bacia do Rio Branco, Roraima, Amazônia, Brasil”, condotto da ricercatori della Fundação Oswaldo Cruz (Fiocruz), Instituto Socioambiental (ISA), Instituto Evandro Chagas e Universidade Federal de Roraima (UFRR), «Il pesce pescato in 3 punti su 4 nel bacino del Rio Branco aveva mercurio maggiore o uguale concentrazioni al limite stabilito dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao) e dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms)» e «Per alcune specie di pesci carnivori, come il filhote, la contaminazione è già così elevata che praticamente non esiste un livello di sicurezza per il consumo, indipendentemente dalla quantità ingerita. Il consumo resta possibile per specie come matrinxã, aracu, jaraqui, pacu, jandiá e altre. Tuttavia, per i bambini e le donne in età fertile, queste specie dovrebbero essere consumate con moderazione per evitare rischi per la salute».

L’analisi per la valutazione del rischio sanitario, basata su una metodologia proposta dall’Oms, ha raccolto campioni di pesce tra il 27 febbraio e il 6 marzo 2021 e ha rivelato «Alti livelli di contaminazione in un tratto del Rio Branco nella città di Boa Vista (25,5%), Baixo Rio Branco (45%), Rio Mucajaí (53%) e Rio Uraricoera (57%). Gli alti tassi di contaminazione osservati sono probabilmente dovuti alle numerose miniere d’oro illegali installate nei canali dei fiumi Mucajaí e Uraricoera».

A Uraricoera, il punto più vicino alla Terra Indígena Yanomami, per ogni 10 pesci raccolti, 6 avevano livelli di mercurio superiori ai limiti stabiliti dall’Oms. Nel Rio Branco, nel gtratto che attraversa la capitale dello Stato dei Roraima Boa Vista, per ogni 10 pesci raccolti, circa 2 non erano idonei al consumo. «In altre parole – fanno notare i ricercatori – anche lontano dalla Terra Indígena Yanomami, e anche se in proporzione minore, gli abitanti di Boa Vista non sono esenti dagli impatti del mercurio utilizzato nelle miniere illegali».

Come spiega la nota tecnica dello studio, «Con i dati sul livello di contaminazione nel pesce è stato poi effettuato un calcolo del rischio di consumo tra i diversi gruppi di popolazione di Roraima, che si è articolato in 5 fasi» e la conclusione è che «Non ci sono quantità sicure di consumo di pesce per quasi tutti i gruppi analizzati, ad eccezione degli uomini con un consumo inferiore a 50 grammi al giorno. Confrontando i rapporti di rischio stimati per le popolazioni urbane e non urbane, abbiamo scoperto che entrambe sono ugualmente a rischio di ammalarsi per l’ingestione di pesce contaminato da metilmercurio. Nonostante il pesce sia proteico e di alta qualità nutrizionale, indicato nelle diete povere di colesterolo e più sane, la contaminazione del pesce del Roraima da parte del mercurio rappresenta un segnale di allarme».

Secondo lo studio, «Il 45% del mercurio utilizzato nell’estrazione illegale dell’oro viene scaricato nei fiumi e nei torrenti dell’Amazzonia, senza alcun trattamento o cura. Il mercurio rilasciato indiscriminatamente nell’ambiente può rimanere fino a 100 anni in diversi compartimenti ambientali e può causare varie malattie nelle persone e negli animali. Nei bambini, i problemi possono iniziare in gravidanza. Se i livelli di contaminazione sono molto elevati, possono esserci aborti spontanei o la diagnosi di paralisi cerebrale, deformità e malformazioni congenite. I minori possono anche sviluppare limitazioni nella parola e nella mobilità. Il più delle volte, le lesioni sono irreversibili, causando impatti nella vita adulta».

Recenti studi condotti con le popolazioni indigene del popolo Munduruku che vivono nella regione di Middle Tapajós, nello Stato del Pará, rivelano «Alterazioni neurologiche e psicologiche negli adulti e ritardi nello sviluppo dei bambini associati al consumo di pesce contaminato dal mercurio». L’effetto dannoso del mercurio sulla salute è stato dimostrato anche tra gli Yanomami. Secondo uno studio di Fiocruz con il supporto dell’ISA, nella comunità di Aracaçá, nella regione di Waikás, sulle rive del fiume Uraricoera, dove c’è una forte presenza di cercatori d’oro, «Il 92% delle persone esaminate era contaminato dal mercurio» e gli autori del nuovo studio dicono che «In sintesi, la presenza dell’attività mineraria nelle terras indígenas, associata all’uso indiscriminato del mercurio, a differenza di quanto affermano molti politici e uomini d’affari, non porta ricchezza e sviluppo alle comunità. Al contrario, lascia un’eredità di malattie e problemi ambientali che contribuisce a perpetuare il ciclo di povertà, miseria e disuguaglianza in Amazzonia».

La realtà che emerge dallo studio è che le miniere legali e illegali producono impatti diretti sulle attività delle comunità di pescatori artigianali del Roraima che «Senza avere alcun rapporto con l’estrazione illegale, finiscono per essere danneggiati da attività criminali quando il loro principale sostentamento, il pesce, è contaminato da alte concentrazioni di mercurio». Ciro Campos, ricercatore dell’ISA. Evidenzia che «Questo provoca danni ai pescatori e rischi per la salute dell’intera popolazione che mangia il pesce dei fiumi del Roraima. Sono contaminati, ce ne sono altri, anche ampiamente consumati, come matrinxã, pacu e jaraqui, che sono ancora sani».

Nell’elenco delle raccomandazioni formulate in fondo alla nota tecnica, i ricercatori chiedono l’elaborazione di meccanismi di protezione finanziaria per il settore della pesca, per evitare che i pescatori artigianali siano colpiti economicamente dalla restrizione del consumo di diverse specie di pesci contaminate. Gli autori dello studio concludono: «E’ importante applicare il principio chi inquina paga: chi dovrebbe essere responsabile delle perdite economiche sono le persone fisiche e giuridiche che investono e promuovono l’estrazione illegale nella regione, non la popolazione locale».

Ed è più o meno anche quello che chiedono Il direttore-presidente della Federação das Organizações Indígenas do Rio Negro (Foirn) Marivelton Baré, del popolo Baré, e il vicepresidente Nildo Fontes, del popolo Tukano, che hanno  presentato un ricorso alla Justiça Federal per annullare le licenze che l’Agência Nacional de Mineração (ANM) concedendo lungo il corso dei fiumi che scorrono all’interno del Território Indígena. Baré e Fontes chiedono anche che « Il corso del Rio Negro  — nei tratti che fanno parte del Território Indígena e degli stili di vita dei popoli che vivono nella regione  — cominci a godere di una protezione costituzionale, che non è stata attuata  per una decisione negli anni 90. Nel 1990 quest’area è stata lasciata al di fuori della demarcazione».

I leader della Foirn, che rappresentano 23 popoli indigeni che vivono in un’area di circa 13,5 milioni di ettari divisa in 9 terras indígenas nei municípios di São Gabriel da Cachoeira, Santa Isabel do Rio Negro e Barcelos, hanno presentato una richiesta per integrare l’azione popolare contro quello che chiamano “Riparto Rio Negro” per scopi minerari. Baré ha spiegato che «Abbiamo presentato la richiesta perché i più colpiti saremo noi, gli indigeni. Non sarà il governo, non saranno le imprese, non sarà la società urbana: saremo noi, che siamo all’interno del territorio. Rafforza la necessità che le popolazioni indigene siano consultate sui progetti da sviluppare nel loro territorio. Qualsiasi esplorazione mineraria che avrà luogo avrà un impatto sulla Terra Indígena, avrà un impatto sulle persone che ci vivono, che sopravvivono con le risorse di quel territorio. Non vogliamo questo degrado ambientale e la violazione dei diritti indigeni perché, sebbene solo un tratto del canale principale del Rio Negro non sia interessato, questo richiede la nostra consultazione. Abbiamo il diritto di dire sì o no ai progetti per il territorio».

L’azione popolare è stata presentata alla fine del 2021 dai parlamentari Jorge Kajuru (Podemos) ed Elias Vaz de Andrade (PSB). Ora, anche i leader indigeni vogliono prendere parte all’azione perché le popolazioni del Rio Negro sono le più interessate. L’istanza è stata protocollata l’8 luglio alla 1ª Vara Federal Cível, nell’Amazonas, con richiesta di urgenza, ma finora non è stata presa alcuna decisione. Secondo il documento presentato dai leader indigeni, «Il rilascio licenze di ricerca e attività minerarie da parte dell’ANM incoraggia le attività minerarie illegali nel territorio e mette a rischio persone di 23 gruppi etnici, come Baré, Tukano, Baniwa, Piratapuya, Yanomami, Desano , Wanano, Hupda, Dâw». Un’indagine  dell’ISA dimostra che ci sono circa 77 licenze  attive  per la ricerca e l’estrazione mineraria nelle aree che comprendono le terras indígenas Jurubaxi-Téa, Rio Téa, Yanomami, Médio Rio Negro I, Médio Rio Negro II e Cué-Cué Marabitanas Jurubaxi-Téa, Rio Téa, Yanomami, Medio Rio Negro I, Medio Rio Negro II e Cué-Cué, Solo nelle terras indígenas Medio Rio Negro I e Medio Rio Negro II ci sono 20 licenze attive. 60 licenze riguardano l’estrazione di oro e le altre 17 stagno, cassiterite, niobio, ghiaia e sabbia. Questa indagine è stata condotta tenendo conto del database ANM, che è pubblico, e dei dati della Fundação Nacional do Índio (Funai) sulle terras indígenas.

Sercondo il ricorso, «Alcune licenze minerarie sono totalmente sovrapposte a comunità, isole e siti in cui le popolazioni indigene vivono e coltivano i loro orti o in aree confinanti con comunità, in particolare Maçarabi, Maniarí, Ilha de Cutia, Carixino, Plano, Aruti, Arauacá, Nova Esperança, Vila Nova, São José, Ilha do Pinto e Bacabal». Gli indigeni direttamente colpiti dalle autorizzazioni dell’Anm sono 3,000 in 61 comunità. Indirettamente, il rilascio delle licenze  colpirebbe negativamente 45.000 indigeni che vivono in 750 siti e comunità nei municipios di São Gabriel da Cachoeira, Santa Isabel do Rio Negro e Barcelos, tutti nel bacino del Rio Negro. E il Foirn denuncia che «Oltre all’impatto su queste persone, c’è il danno ambientale: la regione forma un mosaico di aree protette che comprende le unidades de conservação Parque Nacional Pico da Neblina e a Floresta Nacional (Flona) dell’Amazonas, che è anche riconosciuta come la più grande zona umida del mondo e come sito Ramsar nel 2018».

Parallelamente all’aumento del numero delle autorizzazioni concesse dall’ANM per la ricerca e l’estrazione mineraria nell’alveo del Rio Negro, aumentano le denunce delle comunità, a indicare che la dichiarata legalizzazione dell’attivitàmineraria illegale sta in realtà portando ad un aumento delle attività illegali. Per Marivelton Baré, «Questo dimostra che questi atti e atteggiamenti del potere pubblico finiscono per far sì che l’avidità per l’oro e l’estrazione illegale mettano sempre più pressione sul territorio del Rio Negro. Una pressione che sta già incidendo sul modo di vivere, sull’agricoltura e sulla pesca. Le molestie alle comunità stanno già avvenendo. Costringono persino le persone a lavorare [nelle miniere], come se fosse l’unica fonte di reddito alternativa. Questa modalità violenta cambia il contesto e la routine delle comunità. Il nostro potenziale economico non è minerario. Non è attraverso l’estrazione mineraria che promuoviamo la sostenibilità economica delle comunità».

In una delle denunce ricevute da Foirn, nel 2021, gli indigeni dicono di essere stati minacciati da  estranei che volevano svolgere attività mineraria nella regione. Ci sono segnalazioni di draghe in attività nei fiumi Cauburis, Inambu, Arichana, Aiari e in altri. La più alta concentrazione di denunce è  nella regione del Medio Rio Negro, dove l’ANM ha concesso molte licenze.

Lo storico, antropologo ed ex presidente del Funai Márcio Meira è stato responsabile del rapporto Ministério Público Federal (MPF) che ha portato il Funai a demarcare le TI Médio Rio Negro I e Médio Rio Negro II negli anni ’90 e spiega che «Il rapporto antropologico consegnato al MPF indicava la necessità di delimitare la terra indigena del Médio Rio Negro e, in nessun momento, aveva escluso il letto del Rio Negro dal processo. Il Funai accettò la relazione presentata dal MPF e trasmise questo documento al ministero della giustizia – all’epoca il ministro era Nelson Jobim (Movimento Democrático Brasileiro, ndr) – che rimosse il cosrso del Rio Negro dalla Terra Indígena e decise per la demarcazione separata della Terra Indígena Médio Rio Negro I e Terra Indígena Médio Rio Nego II. Dal punto di vista antropologico e tecnico, questa rimozione del corso del Rio Negro (dall’area considerata Terra Indigena) non ha alcun senso. La relazione aveva identificato la Terra Indigena del Medio Rio Negro, compreso il letto del fiume e le isole, come parti essenziali della Terra Indigena. Gli indigeni utilizzano il Rio Negro e il Rio Curicuriari, che scorre anche nella regione, come territorio o territori essenziali per il loro modo di vivere, secondo i loro usi e costumi e tradizioni, in modo tale che il territorio sia un’area di riproduzione del proprio stile di vita tradizionale, che è sancito dalla Costituzione per la protezione».

L’argomento utilizzato per la non inclusione dell’alveo del Rio Negro era la garanzia della sua navigabilità. Meira spiega che «Il fatto di trovarsi nella Terra Indigena non esclude la navigabilità del fiume. È invece la presenza dell’attività mineraria – con draghe e altri macchinari – è ciò che può danneggiare le navi che transitano nella regione. Inoltre, l’inclusione del Rio Negro come terra indigena ha l’effetto di proteggerlo dagli invasori illegali, qualificandolo come “vittima” di attività che danneggiano la qualità del fiume come territorio».

Meira è testimone dell’invasione dei garimpeiro che la regione aveva subito negli anni ’90, prima della demarcazione delle terre indigene e conclude: «Il Rio Negro aveva circa 200 draghe e mille uomini impegnati in attività minerarie illegali – principalmente per l’oro – nella regione, generando un’ondata di violenza, con omicidi e prostituzione. Un altro punto da notare è che la rimozione di questi minatori è stata effettuata dalla Polícia Federal, tenendo conto dell’intendimento della Justiça Federal secondo cui l’area, compreso il fiume, era in fase di demarcazione. Il rischio attuale è che i permessi ANM per la ricerca e l’estrazione mineraria nel letto del Rio Negro portino a una ripetizione dell’invasione del garimpeiro nella regione, ma in modo ancora più drastico. C’è il rischio che la situazione si ripeta in modo peggiore, con l’approvazione del governo federale. Negli anni ’90 il governo federale non ha incoraggiato l’attività mineraria»

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