Secondo l’Agenzia internazionale per l’energia (Iea), raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi sul clima significa rendere il settore energetico, nell’arco dei prossimi due decenni, la principale voce di consumo per molte materie prime.
Al contempo la Banca mondiale stima che per alimentare la corsa della transizione energetica, trainata dalle rinnovabili, saranno necessari oltre 3 miliardi di tonnellate di minerali e metalli entro il 2050.
Un promemoria che ci ricorda come non esistono pasti gratis, neanche quando si parla di sviluppo sostenibile. Per l’Europa e l’Italia in particolare, forti importatori di materie prime, questo rappresenta però un doppio problema da risolvere.
Non a caso l’Ue ha avviato, ormai da due anni, una nuova strategia per sopperire alla carenza di materie prime critiche per la transizione ecologica, provando così ad evitare di passare da una cronica dipendenza da fonti fossili a una incentrata su altre commodity.
Le principali strategie in campo sono la diversificazione dei fornitori, l’apertura di nuove miniere su territorio europeo, e in primis il riciclo. Un fronte, quest’ultimo, dove la Sardegna potrebbe avere un ruolo da protagonista, come mostra un nuovo studio condotto dall’Università di Ferrara e presentato in città durante la fiera RemTech Expo, ancora in corso.
È una delle prime ricadute del progetto Regs II “Recycling of granite scaps II” finanziato con fondi europei Life e del progetto di ricerca dal titolo “Waste treatment: reperimento di Critical raw materials dalle discariche di sfridi di rocce ornamentali granitoidi”, sostenuto dal programma di finanziamento nazionale Pon React-Eu e svolto nell’ambito del dottorato in Architettura e pianificazione urbana dell’Ateneo.
«Le materie critiche sono metalli e materiali di strategica importanza economica per l’Europa, caratterizzati da alto rischio di fornitura, la cui necessità è emersa in relazione alla rivoluzione tecnologico-industriale che stiamo attraversando, alla transizione energetica/ecologica e alla rivoluzione digitale, che durante il lockdown ha subito un’accelerazione», spiega dall’Unife Carmela Vaccaro, responsabile del progetto di ricerca.
Progetto che punta a stimare le potenzialità estrattive e la progettazione di un impianto di arricchimento per ottimizzare l’estrazione delle materie prime critiche dagli scarti di lavorazione del granito, oltre a sviluppare al contempo soluzioni di valorizzazione paesaggistica delle “discariche di granito”.
«Dalle prime analisi del nostro progetto è emerso che le discariche del distretto lapideo di Buddusò e della Gallura potrebbero consentire all’Italia e all’Europa di superare le difficoltà di attuazione del Green deal europeo causate dalle limitazioni di reperimento dei metalli critici necessari per la transizione ecologica e digitale», aggiunge Elena Marrocchino, co-responsabile Unife del progetto.
I dati finora raccolti sono molto incoraggianti, e in attesa di nuovi sviluppi: «I graniti di Buddusò – dettaglia Antonello Aquiliano, dottorando Unife che sta lavorando al progetto – sono composti per l’80%, 85% di quarzo e feldspati, materie utilizzate per il comparto ceramico e del vetro. Contengono anche elevate percentuali (fino al 15%) di allanite, un minerale magmatico raro che si caratterizza per essere ricco di terre rare (La, Ce, Pr, Sm e Nd) e interessanti quantità di ferro, tantalio e niobio. Si distinguono da altri graniti per concentrazioni utili di germanio e gallio, elementi importanti per la produzione di componenti green come ad esempio pannelli solari».
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