A fronte di un sistema insufficiente di depurazione (che ci costa 4 procedure di infrazione, con 60 milioni di euro pagati ogni anno e il 18% dei reflui di origine urbana non depurati), in Italia si producono comunque 3,4 milioni di tonnellate di fanghi di depurazione ogni anno.
Che fine fanno? Secondo lo studio Fabbisogni impiantistici per una corretta gestione dei fanghi di depurazione, presentato oggi da Utilitalia a Ecomondo, nel 2021 oltre il 50% dei fanghi è stato avviato allo smaltimento, con situazioni piuttosto diversificate tra le macroaree.
Il centro ed il sud, infatti, hanno esportato complessivamente circa 560.000 tonnellate di fanghi verso altre regioni, soprattutto del nord. Un quadro che rischia di essere aggravato nei prossimi anni da due fattori.
Da un lato, migliorare le performance dal punto di vista della depurazione farà crescere i quantitativi di rifiuto da gestire: con la risoluzione delle procedure di infrazione si stima che si produrrà quasi un milione di tonnellate di fanghi in più, arrivando a circa 4,2 milioni di tonnellate annue. Dall’altro lato, una mancata o una forte riduzione dell’utilizzo agricolo, sottoposto frequentemente a limitazioni e praticato comunque in un quadro di incertezza normativa, aggraverebbe ulteriormente la situazione di deficit gestionale del centro-sud, mettendo anche il Nord in forte difficoltà.
Questo perché ad oggi la quasi totalità delle 1,5 milioni di tonnellate di fanghi avviati a recupero viene trattata per un successivo utilizzo in agricoltura, sia in forma diretta sia attraverso la produzione di ammendanti compostati misti e di gessi di defecazione. Nel caso venisse a mancare l’utilizzo agricolo, occorrerebbe trovare immediata collocazione per circa 1,38 milioni di tonnellate di fanghi, alle quali andrebbe a sommarsi un ulteriore milione di tonnellate derivanti dalla risoluzione delle procedure di infrazione.
«Nei prossimi anni – spiega il vicepresidente di Utilitalia, Alessandro Russo – occorreranno impianti sia per il recupero di materia e successivo utilizzo in agricoltura, sia per il recupero energetico con produzione tra gli altri di biometano. In Italia la normativa risale al 1992 e già da tempo ne sosteniamo la necessità di un aggiornamento, alla luce sia di un diverso approccio alla tutela dell’ambiente sempre più focalizzato sulla prevenzione e la circolarità, sia sulla base degli studi scientifici in corso che devono costituire il fondamento delle scelte inerenti le future norme».
L’articolo La metà dei fanghi di depurazione italiani va ancora in discarica sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.