Reati, persone denunciate, arresti, sequestri: secondo i dati raccolti da Legambiente in Ecomafia 2022 (Edizioni Ambiente), la realtà italiana dei reati contro l’ambiente è paurosamente simile a quella di oltre un decennio fa. A livello macro i numeri del 2021 non si discostano granché da quelli del 2009, in un plastico ritratto del fallimento sulle politiche di prevenzione. Cresce invece la repressione in alcuni settori, come la gestione rifiuti, ma anche in questo caso è difficile parlare di successo.
Più in generale, guardando a tutte le tipologie di reato contro l’ambiente, il Cigno verde afferma che «nel 2021 i reati contro l’ambiente non scendono sotto il muro dei 30mila illeciti (accertati 30.590), registrando una media di quasi 84 reati al giorno, circa 3,5 ogni ora. Un dato preoccupante e che continua a restare alto, nonostante la leggera flessione del -12,3% rispetto ai dati del 2020, mentre crescono gli arresti toccando quota 368, +11,9% rispetto al 2020. Sono 59.268 gli illeciti amministrativi contestati, con una media di 162 al giorno, 6,7 ogni ora. Sommati ai reati ambientali, raccontano di un Paese dove vengono accertate ogni ora circa 10 violazioni di norme poste a tutela dell’ambiente», arrivando a «un bottino d’oro per gli ecomafiosi che nel 2021 hanno fatturato 8,8 miliardi di euro».
Campania, Puglia, Calabria e Sicilia appaiono come le quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa che subiscono il maggiore impatto di ecocriminalità e corruzione: «Qui si concentra il 43,8% dei reati accertati dalle forze dell’ordine e dalle Capitanerie di porto, il 33,2% degli illeciti amministrativi e il 51,3% delle inchieste per corruzione ambientale sul totale nazionale».
Ma il problema riguarda tutto il Paese, sotto molteplici profili. Il ciclo illegale del cemento guida nel 2021 la “classifica” legambientina delle filiere illegali con 9.490 reati (31% del totale), seguito da quello dei rifiuti (8.473) che registra anche il maggior numero di arresti (287, +25,9%) e di sequestri (3.745, +15%); a seguire i reati contro la fauna (6.215), ma anche quelli contro il patrimonio boschivo (5.385) o contro il patrimonio culturale (603).
Che fare? Legambiente propone un pacchetto di 10 proposte di modifica normativa (allegato in coda all’articolo, ndr), ancora una volta incentrate prevalentemente sull’inasprimento delle pene, con meritorie eccezioni. Per contrastare i reati nel ciclo del cemento, ad esempio, Enrico Fontana – responsabile dell’Osservatorio nazionale ambiente e legalità – spiega che «a nostro avviso è fondamentale approvare un emendamento di modifica dell’articolo 10 bis della legge 120/2020 (semplificazioni in materia di demolizione di opere abusive) per affidare ai prefetti, in caso di inerzia dei Comuni, la responsabilità degli abbattimenti oggetto di ordinanze precedenti all’approvazione della norma, fugando così ogni margine di dubbio circa la sua applicazione». Un intervento che, ad esempio, avrebbe forse potuto salvare vite durante la recente tragedia di Ischia, dove oltre alla crisi climatica anche l’abusivismo edilizio ha svolto un ruolo di primo piano.
La principale proposta d’intervento mirata esplicitamente a contrastare i reati nel ciclo dei rifiuti, secondi in classifica dopo il cemento, è invece meramente repressiva: «Inasprire le sanzioni per il delitto di traffico organizzato di rifiuti, ai sensi dell’art. 452-quaterdecies, innalzando le pene reclusive da 3 a 8 anni (10 nel caso di rifiuti radioattivi) e introdurre nuove e più stringenti sanzioni in materia di smaltimento illecito».
Ma in quest’ambito la sola repressione, come mostrano gli stessi dati di Legambiente, non sembra funzionare affatto come deterrente. Reati, persone denunciate e sequestri legati al ciclo dei rifiuti sono tutti in forte crescita rispetto al 2009 (un trend seguito solo in piccola parte dai relativi arresti).
Come mai? Prendiamo un’aneddotica dalla Toscana, dove da anni si trascina stancamente un gran quantità di processi giudiziari e inchieste aperte sul ciclo dei rifiuti. Tra quelle che hanno fatto più rumore spicca il processo per turbativa d’asta sull’affidamento dell’igiene urbana nell’Ato sud, avvenuto nel 2012. Solo quest’anno il pm si accorge di aver sbagliato, e almeno ha chiesto scusa a tutti gli imputati.
In questo decennio però il processo ha terremotato vita e carriera di professionisti stimati, oltre a gettare nel caos un Ato che serve mezza Toscana, aizzando la cittadinanza contro un’ecomafia rivelatasi poi un fantasma. L’approccio giustizialista però è rimasto e non è un caso se in Toscana risulta ormai difficilissimo approvare la realizzazione di nuovi impianti per la gestione rifiuti. I cittadini non si fidano, col risultato che senza impianti peggiorano gli impatti ambientali e l’ecomafia, quella vera, cresce.
Un problema che non riguarda certo la Toscana: un sondaggio realizzato da Ipsos per Legambiente mostra che ai cittadini l’economia circolare interessa sempre di più, ma gli impianti restino lontano (almeno 10 Km) da casa.
Forse dunque non basta far tintinnare le manette per fermare l’ecomafia nel settore rifiuti, se prima non si procede a un riordino della normativa di settore in favore di una semplificazione che elimini la discrezionalità delle interpretazioni normative e tecniche. Solo in questo modo le maglie della giustizia potranno stringersi su chi è ecomafioso davvero, lasciando lavorare l’imprenditoria onesta. Altrimenti a soccombere sarà sempre la seconda.
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