Autoproduzione! Quante volte abbiamo sentito parlare di questo termine correlato alla sostenibilità o anche all’idea di un fai da te per poter (in alcuni casi) risparmiare. Pensiamo alla cucina, alla produzione di frutta e verdura, al realizzare un abito.
Negli ultimi anni, però, tale tipo di attività e attitudine è divenuta sempre più frequente per ciò che riguarda l’energia, in particolar modo legata alle rinnovabili, e in tal caso, per identificarla, si utilizza specificamente un termine inglese, ovvero “prosumer”.
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Chi ha inventato la parola prosumer
Tale neologismo nasce 43 anni fa, coniato dal futurista Alvin Toffler nel 1980 nel volume “The Third Wave”, nel quale la locuzione – derivante dalla fusione delle parole inglesi producer e consumer – descrive una persona che svolge sia il ruolo di consumatore che di produttore, soprattutto in relazione alla produzione di beni e servizi.
La parola ha avuto negli ultimi due decenni anche un uso sempre più frequente in relazione alla possibilità – attraverso il cosiddetto web 2.0 – di diventare non solo più fruitori di contenuti di informazione in maniera verticale ma di poter oggi contribuire al dialogo, a integrare una notizia, a dire la propria. Pensiamo a un post pubblicato in una pagina Facebook o in un gruppo a cui segue un dibattito sul tema proposto.
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Cosa vuol dire prosumer quando parliamo di energia rinnovabile
Il termine negli ultimi anni ha iniziato a essere usato sempre più spesso in relazione alla produzione di energia rinnovabile. In tale ambito ci si riferisce a individui o imprese che producono e consumano energia rinnovabile da fonti come il sole, il vento, l’acqua, ecc. Pensiamo all’edificio che sfrutta l’energia dei pannelli solari sul tetto per produrre energia elettrica (fotovoltaico, sia fisso che cosiddetto da balcone, ovvero plug and play) o acqua calda sanitaria (termico), la geotermia, ma anche alle biomasse in un’azienda agricola, o nel caso in cui si abbia a disposizione un impianto eolico (dal micro a quelli standard) o, ancora, una mini centrale idroelettrica (viaggiando nella storia, pensiamo anche ai mulini che sfruttavano l’acqua).
Prosumer quindi può essere sia un individuo che un’azienda ma anche una comunità con la particolarità che tutta o parte dell’energia che viene utilizzata viene prodotta da un impianto afferente alla propria realtà e che è stato realizzato proprio per coprire il fabbisogno energetico. Ciò consente una riduzione dei costi in bolletta, ma anche di contribuire alla transizione energetica e quindi ecologica.
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Cosa fare con l’energia che non può essere utilizzata immediatamente
Il beneficio dell’essere prosumer risiede nell’utilizzare direttamente l’energia che proviene dal proprio impianto ma ciò può non essere sempre possibile. L’energia prodotta in eccesso può essere immagazzinata o venduta di regola – salvo casi come per i pannelli da balcone – alla rete elettrica, fornendo ai prosumer un reddito supplementare.
Nel caso dello storage, ciò consente di utilizzare l’energia prodotta dal proprio impianto anche di notte o quando è nuvoloso o se si ha un picco di consumi superiore alla produzione.
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Comunità energetiche: se eterogenee ottimizzi l’autoconsumo
Uno degli attuali modelli più famosi di forme di prosumer sono le comunità energetiche, ovvero un insieme di utenti che volontariamente decidono di cooperare insieme per produrre, gestire e utilizzare energia rinnovabile in modo collaborativo. Tali comunità sono formate da soggetti eterogenei: condomini, aziende, enti pubblici ma anche singoli cittadini.
In alcuni casi, le comunità energetiche possono anche vendere l’energia prodotta in eccesso alla rete elettrica nazionale, generando così entrate supplementari per i membri della comunità, anche se la convenienza maggiore vi è in caso di autoconsumo che è tanto maggiore quanto sono presenti differenti profili d’uso in una comunità, come spiega l’ingegnere Alberto Boriani di Isnova in uno dei video divulgativi di Italia in Classe A – la campagna nazionale di informazione e formazione sull’efficienza energetica promossa dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica.
“Quando parliamo di autoconsumo ed energie rinnovabili stiamo parlando non solo di come produciamo l’energia. Per far sì che noi riusciamo ad utilizzare l’energia in modo efficiente, abbiamo bisogno anche di adattare i nostri comportamenti e i nostri consumi. Quando produciamo energia elettrica con dei pannelli solari, noi otteniamo il massimo dell’efficienza se riusciamo a consumare l’energia nel momento in cui la produciamo quindi se riusciamo a spostare i nostri consumi durante la giornata e non più durante la sera. Quando invece affrontiamo un tema di autoconsumo condiviso, di comunità energetiche, dobbiamo pensare a mischiare i profili d’uso cioè residenziale, non residenziale, negozi e uffici. Così ottimizzeremo il consumo di energia”.
Gli impianti collettivi rinnovabili sono una cosa diversa dalle comunità energetiche
Una storia particolare è quella della società ènostra che già di per sé vende solamente energia 100% rinnovabile. La cooperativa è proprietaria di 13 impianti collettivi, finanziati dal basso da socie e soci che hanno investito in un fondo di produzione. Il quattordicesimo impianto eolico collettivo, da 1 megawatt, è in corso di realizzazione in Umbria ed entrerà in funzione nella primavera del 2023: per favorire “una transizione energetica che finalmente ci liberi dalle fossili dobbiamo investire in energia buona” e per questo, specificano dalla società, “bisogna farlo tutti assieme”.
Attualmente la raccolta è chiusa ma ci si può prenotare per quando riaprirà. Sostanzialmente attraverso questo meccanismo ognuno può calcolare quanto investire per coprire i consumi della propria abitazione – o della micro PMI che si possiede – e in tal modo si potrà ottenere la tariffa, appunto detta prosumer, che è svincolata dalle logiche di mercato e legata al costo di produzione dell’energia degli impianti del fondo creato grazie al sostegno dei soci sovventori. Un modo per svincolarsi dalle fossili senza dover avere un proprio impianto.
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