In un Paese come l’Italia, che formalmente raggiunge la percentuale più elevata nell’Ue (67,5%) per l’avvio a riciclo dei rifiuti raccolti ma vede al contempo un re-impiego di materiali riciclati nel ciclo produttivo fermo al 21,6%, il ministero della Transizione ecologica ha proposto un Programma nazionale per la gestione rifiuti (Pngr) – attualmente sottoposto a Valutazione ambientale strategica (Vas) e consultazione pubblica – che punta a rendere più coerente il puzzle dell’economia circolare italiana.
Una proposta che oggi è stata oggetto d’analisi nel corso dell’evento digitale Pngr, l’Italia dei rifiuti tra luci e ombre, promosso da Assoambiente, l’Associazione imprese di servizi ambientali ed economia circolare che ha avviato proprio ieri un nuovo corso.
Chicco Testa, in qualità di presidente dell’Associazione, ha aperto il suo intervento evidenziando le note positive contenute nel Programma, a partire dall’obiettivo esplicito di dare indirizzi atti a colmare i gap impiantistici presenti nel territorio, superando la disomogeneità registrata a livello nazionale. L’altra novità del Programma è che afferma chiaramente il principio di prossimità ed autosufficienza regionale per rifiuti urbani indifferenziati, per gli scarti dei rifiuti urbani avviati a smaltimento e per gli organici.
Tuttavia per questi ultimi la bacinizzazione, secondo Testa, genera perplessità per il possibile contrasto con le norme che oggi consentono la libera circolazione sul territorio nazionale delle frazioni da raccolte differenziate destinate a riciclo e recupero.
«Il Pngr è un passo in avanti significativo verso una gestione più efficace e sostenibile dei rifiuti – sottolinea il presidente di Assoambiente –, che prende atto del gap impiantistico che penalizza alcune aree del nostro Paese. Tuttavia occorre, per le frazioni avviate a valorizzazione secondo l’economia circolare, rivedere le limitazioni territoriali per assicurare coerenza con il criterio di specializzazione impiantistica, che impone impianti di taglia adeguata e tecnologie avanzate, non facilmente realizzabili ovunque e da chiunque».
Di certo «non ha senso indirizzare la programmazione e le risorse pubbliche su impianti che possono essere realizzati da imprese che già oggi sarebbero pronte ad investire se solo i tempi per ottenere un’autorizzazione glielo consentissero», come evidenzia Testa, ma è un dato di fatto che ad oggi in Italia il concetto di “prossimità” nella gestione dei rifiuti è tanto importante quanto svalutato.
Come hanno contribuito ad evidenziare le analisi prodotte dalla stessa Assoambiente nel corso degli anni, prima di giungere agli impianti i rifiuti urbani macinano (entro i nostri confini) 62 mln di km l’anno e gli speciali 1,2 mld di km l’anno, a spese nostre e dell’ambiente; senza dimenticare i rapporti Ispra chiamati a documentare la continua crescere per l’export di rifiuti urbani e speciali, a causa della scarsità d’impianti adeguati a gestirli, soprattutto nel centro-sud del Paese, tanto che l’Italia finisce ad affidare i propri rifiuti in larga parte al mercato globale con tutto ciò che ne consegue in termini di rischi di spedizioni illegali e difficoltà a certificare che il presunto “avvio a riciclo” all’estero vada davvero a buon fine.
Per quanto riguarda in particolare la frazione dei rifiuti organici, basti pensare che anche in una Regione “mediamente virtuosa” come la Toscana su 536mila tonnellate di rifiuti organici urbani raccolti tramite la differenziata circa 215mila finiscono esportate fuori Regione: alla faccia della prossimità.
Per quanto riguarda invece le valutazioni basate su analisi Life cycle assestment (Lca), relative alle performance ambientali degli attuali sistemi di gestione per indirizzare le scelte future, dal Pngr ad esempio emerge che per il trattamento della frazione organica risulta molto più conveniente, sotto il profilo ambientale, un impianto che integri la fase aerobica con quella anaerobica. Allo stesso modo si chiarisce che al pretrattamento del rifiuto residuo in impianti Tmb è preferibile l’invio diretto a recupero energetico. Si stabilisce inoltre che l’obiettivo di discarica al 10% al 2035 deve essere raggiunto progressivamente indicando chiari step intermedi a partire dal 2023.
A tale riguardo sarà opportuna, secondo Assoambiente, la funzione di stimolo e coordinamento che il Governo potrà svolgere nei confronti del livello locale.
«Sebbene il Pngr non sia un vero piano che prevede localizzazioni ed impianti – conclude Testa – obbliga però le Regioni a stimare correttamente i flussi dei rifiuti, compresi gli scarti prodotti dalle raccolte differenziate, e compie un significativo passo in avanti al fine di superare l’attuale disomogeneità delle pianificazioni e delle realtà gestionali. Occorrerà introdurre per tutte le attività strategiche indicate dal Programma (aumentare le raccolte differenziate, incrementare qualità delle raccolte, definire il fabbisogno impiantistico, incrementare o promuovere il riciclaggio) adeguati criteri di misurazione, per non lasciare ad una eccessiva discrezionalità la valutazione del loro effettivo compimento e successo».
L’articolo A che punto è il Programma nazionale per la gestione rifiuti, tra criticità e note positive sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.