Iniziata nel 2016 e salita alla ribalta della cronaca nel 2017 – per poi essere ulteriormente ampliata nel 2021 – l’inchiesta avviata contro la gestione degli impianti Alia dalla Procura della Repubblica di Firenze si è conclusa oggi in una bolla di sapone.

La stessa Procura ha visto accogliere dal giudice per le indagini preliminare, dopo sette anni di indagini, la propria domanda di archiviazione del procedimento penale numero 1987/2016.

Erano 33 i dipendenti e dirigenti dell’utility, il soggetto interamente pubblico dedito ai servizi d’igiene urbana nella Toscana centrale, a cui veniva contestato la commissione di alcuni reati ambientali compiuti nell’esercizio delle loro funzioni.

Tutto sfumato: l’inchiesta si è conclusa con un decreto di archiviazione, e con il pagamento di alcune oblazioni.

«Questa notizia rappresenta la fine di un lungo periodo di incertezza, anche se vissuto nella convinzione di avere sempre operato per il meglio – commenta Lorenzo Perra, presidente di Alia – Voglio esprimere la mia gratitudine per la pazienza e l’impegno dimostrati da tutti i nostri dipendenti durante questo periodo. Questa archiviazione restituisce a loro, alle loro famiglie e a tutta Alia la giusta serenità e la consapevolezza di avere operato nel rispetto delle leggi, con l’obiettivo di fornire un servizio di qualità alla comunità e di proteggere l’ambiente».

Ciò non toglie la gravità del problema, che è ben lontano da riguardare solo Alia e il suo operato. Ormai da anni si moltiplicano in tutta la Toscana le inchieste che riguardano i gestori dei rifiuti e gli operatori dell’economia circolare – spesso interamente o parzialmente pubblici –, che presentano elementi in comune.

Si parte in genere con un enorme clamore mediatico, che dà l’impressione di trovarsi già alla fine del processo con l’imputato colpevole, anziché agli albori di un’inchiesta.

Quando la fiducia della cittadinanza è ormai incrinata le indagini si prolungano poi per anni, e con la stessa lentezza proseguono poi gli (eventuali) processi; è il caso ad esempio del calvario che ha caratterizzato Sei Toscana (il gestore unico dei servizi d’igiene urbana nella Toscana del sud), nel quale dopo 7 anni di processo il pm ha finito per scusarsi con tutti gli imputati.

Le conseguenze non sono “solo” le vite rovinate per i diretti interessati, i danni d’immagine per le aziende o per i servizi pubblici che svolgono.

Il risultato finale è una crescente sfiducia della cittadinanza verso l’intero sistema dell’economia circolare e degli impianti industriali che necessita per dare gambe alla transizione ecologica, che vengono invece bloccati a causa delle sindromi Nimby e Nimto che trovano terreno fertile proprio nella sfiducia.

I rifiuti che continuiamo a generare ogni giorno però devono comunque essere gestiti, e questa dinamica paradossalmente finisce proprio per alimentare le inefficienze e insostenibilità – quando non la proliferazione di alternative malavitose – che vorrebbe invece combattere.

La soluzione dunque non passa solo dall’inasprire le pene contro gli ecoreati, ma dal rivedere la qualità della normativa ambientale. Basti osservare che il Codice dell’ambiente, o meglio il Testo unico ambientale (dlgs 152/2006) è un testo dalla dimensioni ciclopiche, continuamente rimaneggiato nel più oscuro linguaggio burocratico, che lascia aperti troppi margini d’interpretazione.

Occorre dunque rivedere la normativa, oppure questa zona d’incertezza continuerà a mettere i bastoni tra le ruote alle realtà oneste dell’economia circolare, lasciando campo libero a chi invece nelle acque torbide sa muoversi al meglio.

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