Legambiente ha presentato le osservazioni al progetto per la Realizzazione di una scogliera sommersa in massi di fronte alla spiaggia di Sant’Andrea, nel Comune di Marciana, evidenziando lacune nell’analisi della biodiversità marina, il rapido riscaldamento del mare in atto e scarsa attenzione verso le vere cause dell’erosione che sono a terra più che a mare. Ecco cosa scrive l’associazione ambientalista nelle osservazioni inviate al Regione Toscana, Comune di Marciana, Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano e alle altre Istituzioni interessate:

 

Prendiamo atto con soddisfazione che il Comune di Marciana intende abbandonare la costosa e inutile pratica dei ripascimenti a Sant’Andrea, una decisione che speriamo che si estenda anche alle altre spiagge in erosione del Comune, ricostituendo gli elementi di naturalità e di conformazione della costa, intervenendo sulle opere a terra e a mare che hanno provocato l’erosione e tenendo conto delle mutate condizioni ambientali e climatiche s che stanno già avendo, e avranno sempre di più, un impatto sulle coste del Comune di Marciana e dell’intera Elba.

Non sembra del tutto il caso per quanto previsto dal “Progetto “2018EMA0055, loc. Sant’Andrea – Realizzazione di una scogliera sommersa in massi” in località Sant’Andrea che, come si legge nella documentazione pubblicata,  «Si tratta di una scogliera interamente soffolta di lunghezza al coronamento pari a 80 m e larghezza, in corrispondenza della berma sommitale, pari a 16 m. La barriera, imbasata ad una quota media del fondale -4.00 m s.l.m.m, è posta ad una distanza media dalla linea di riva di circa 75 m. La posa dei massi per la realizzazione dell’opera non interesserà in alcun modo la scogliera naturale presente sul limite Ovest, rimanendone completamente distaccata (figura 4). Complessivamente si stima di dover approvvigionare da cava un quantitativo di massi pari a 21.348,60 tonnellate».

In queste nostre osservazioni ci preme soprattutto soffermarci sugli aspetti ambientali, climatici e territoriali del Progetto che non sembrano presi in considerazione nella documentazione che lo sostiene:

Si fa presente che, non essendo il mare di Sant’Andrea protetto, le vulnerabilità riportate nello Studio di Impatto ambientale riguardano in particolare le aree protette a terra immediatamente vicine all’opera, e che non vengono mai citate le vicine Formiche della Zanca, Zona A del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano, né la presenza nell’area di intervento di rari ma ben noti esemplari di cavallucci marini (Hippocampus). Inoltre, non si fa nessun accenno alla presenza nelle acque di Sant’Andrea di un verme simbionte particolarmente raro e importante, l’Olavius algarvensis scoperto nel 2001 proprio nelle acque di fronte a Capo Sant’Andrea da un team di ricercatori capeggiato da Nicole Dubilier, scoperta poi a resa nota su Nature (Endosymbiotic sulphate-reducing and sulphide-oxidizing bacteria in an oligochaete worm) nel 2006 da Marco Plebani dell’Università di Pisa e poi approfondita nello studio  “Metaproteomics of a gutless marine worm and its symbiotic microbial community reveal unusual pathways for carbon and energy use”, pubblicato su PNAS da un team di ricercatori tedeschi, britannici e statunitensi, ed alla quale ha partecipato anche l’Hydra Institute for marine sciences di Fetovaia, Campo nell’Elba, nel quale si analizza l’evoluzione delle strategie simbiontiche di questo animale che vive infossato entro i primi 20 cm di sedimento «Un meccanismo chiave tra gli organismi marini per superare le limitazioni poste dalla bassa disponibilità di nutrienti ed energia».

Non si comprende perché si investa così tanto nella salvaguardia e nel bypass della condotta fognaria esistente senza spendere una parola –  in particolare nella documentazione sugli aspetti ambientali – per  chiedere di dotare Sant’Andrea-La Zanca e possibilmente Patresi, di un moderno depuratore in grado di affrontare i forti picchi di presenza estivi e di riutilizzare la risorsa acqua reflua, sempre più preziosa, invece di continuarla a scaricarla al largo sommariamente trattata. Questo sarebbe certamente uno dei risarcimenti ambientali che mancano nel progetto.

Se si esclude l’intervento sul molo/piazzale, che ha subito danneggiamenti proprio per l’intensificarsi dei cambiamenti climatici, quasi mai richiamati nei documenti né come pregresso che come impatti futuri, dalla documentazione non emerge nessuna seria analisi del perché dell’erosione continua e inarrestabile della spiaggia di Sant’Andrea che è dovuta soprattutto alla creazione di strutture rigide a terra – anche pubbliche come la piazza –  e alla modifica dell’utilizzo dei suoli, con impermabilizzazione diffusa e abbandono del territorio e delle opere idraulico/agricole che contribuivano al ripascimento naturale della spiaggia. L’unico accenno fatto nello Studio di Impatto ambientale e un’esortazione: «Contestualmente all’intervento principale, sarebbe auspicabile ridurre la riflettività del muro posto a tergo dell’arenile per evitare lo scalzamento al piede e conseguentemente gli intensi fenomeni erosivi alla base del muro che delimita la passeggiata».

D’altronde, lo stesso Studio di Impatto ambientale evidenzia gli errori commessi in passato con la realizzazione della «la scogliera risulta attualmente del tipo “semiradente”, troppo a ridosso della costa per conseguire una efficace riduzione dell’energia impattante il litorale e permettere la formazione di una spiaggia stabile», soluzione che, lo ricordiamo, all’epoca della sua realizzazione venne presentata come una specie di panacea per i problemi di erosione.

Ma sembra si vogliano ripetere errori simili visto che «Il progetto prevede la posa di una fila di massi selezionati 50‐100 kg con un volume totale di circa 60 m3 disposti alla base del muro lungo l’intero sviluppo longitudinale, sul livello del mare, e completamente ricoperta dalla sabbia presente. L’opera non è visibile dall’arenile e rappresenta unicamente un rinforzo alla base del muro: riducendone il coefficiente di riflessione delle onde più alte che possono arrivare fino al muro, impedisce lo scalzamento al piede contrastando in maniera efficace i fenomeni erosivi». Facciamo presente che opere simili, messe in atto anche in spiagge vicine come quelle di Marciana Marina, hanno acuito l’erosione è l’hanno spostata in altri punti della spiaggia. Inoltre, è chiaro che la ricopertura in sabbia della massicciata verrebbe eliminata ad ogni mareggiata, comportando spostamenti della sabbia s da altre aree della piccola spiaggia o proprio i nuovi ripascimenti che l’opera vorrebbe evitare.  Quindi, non appare del tutto vero che, come si asserisce nel Studio di Impatto ambientale  che l’opera comporti un «limitatissimo impatto sul paesaggio e che le scelte eseguite nel corso delle elaborazioni progettuali abbiano portato tutte le possibili mitigazioni».

Si fa inoltre presente che la “povertà” di biocenosi marine nell’area di intervento è dovuta a interventi precedenti impropri e al traffico e all’ancoraggio costante, in particolare per quanto riguarda la posidonia che fino a pochi anni fa resisteva in rade popolazioni ora scomparse. Interventi di modifica peraltro citati nella stesso Studio di Impatto ambientale che però prende atto della situazione e non propone interventi di ripristino.

Per quanto riguarda l’affermazione che «Si ritiene pertanto che le opere in oggetto non avranno alcun impatto sulla qualità delle acque in fase di esercizio e potrà incidere sulla sola torbidità in fase di cantiere; pertanto non vi sarà incidenza negativa sullo Stato di Qualità Ambientale delle acque marino costiere», ricordiamo che proprio a Sant’Andrea è in atto  un forte riscaldamento del mare che raggiunge la profondità.

Mare caldo, una rete di monitoraggio delle temperature marine realizzata da Greenpeace e dal Dipartimento di scienze della Terra, dell’ambiente e della vita (DiSTAV) dell’Università di Genova, con il con il supporto tecnico di ElbaTech, che ha installato – a partire proprio dalle Formiche della Zanca – termometri per misurare l’aumento della temperatura del mare, nell’ottobre 2021 ha rivelato che  «La stazione di misurazione delle temperature marine posizionata sulla costa nord-occidentale dell’Isola d’Elba ha rivelato che quest’estate – tra le più calde mai registrate nella penisola italiana – le temperature medie misurate a luglio e agosto dai 20 ai 40 metri di profondità sono state di circa 1,5 gradi centigradi più alte di quelle del 2020, raggiungendo valori medi di quasi 18 gradi centigradi nei mesi estivi a una profondità di 40 metri. Un chiaro segnale che i cambiamenti climatici sono ormai una realtà anche negli ambienti più profondi dei nostri mari e costituiscono una grave minaccia per la biodiversità» e che, per quanto riguarda il monitoraggio degli impatti dei cambiamenti climatici ,«Da una prima analisi, confrontando i dati raccolti nei primi due anni di progetto, è emerso un aumento della mortalità degli organismi più sensibili legato all’innalzamento delle temperature. Nell’ambito dei monitoraggi condotti nel 2020, solo il 10% delle gorgonie rosse (Paramuricea clavata), tra i 30 e i 40 metri di profondità, riportavano segni di necrosi, mentre nel 2021 la percentuale è raddoppiata. Lo stesso impatto è stato osservato, a minori profondità, per le alghe rosse corallinacee che mostrano segni di sbiancamento e mortalità sempre più evidenti. Eventi di moria sono stati inoltre osservati, in entrambi gli anni di monitoraggi, per il 25% delle gorgonie gialle (Eunicella cavolini) e per il 60% circa del madreporario mediterraneo (Cladocora caespitosa). Il confronto dei dati raccolti dal 2000 a oggi mostra come le comunità bentoniche di scogliera dell’Isola d’Elba stiano pian piano cambiando, con la perdita di alcune specie native e l’arrivo di specie termofile e aliene che meglio resistono alle alte temperature e che si stanno quindi gradualmente spostando verso nord, come i pesci pappagallo (Sparisoma cretense) o l’alga aliena Caulerpa cylindracea, oggi ampiamente diffusa all’Isola d’Elba fino a 40 metri di profondità».

Ora, è chiaro che questi impatti si moltiplicheranno in uno specchio di mare  molto limitato che con la barriera soffolta verrebbe praticamente chiuso in profondità e fortemente riscaldato in superficie, visto anche che quest’anno all’Elba le temperature superficiali hanno per mesi a raggiunto e abbondantemente superato i 30° C, Infatti, il  secondo rapporto annuale del progetto Mare Caldo pubblicato a maggio di quest’anno, sottolinea che «I dati indicano chiaramente come i nostri mari si stiano riscaldando anche in profondità. Il rapporto del secondo anno di progetto, inoltre, evidenzia come l’aumento delle temperature stia causando drastici cambiamenti della biodiversità marina, dalla scomparsa delle specie più sensibili caratteristiche del nostro mare all’invasione di altre, spesso aliene, che meglio si adattano a un mare sempre più caldo». E Greenpeace evidenzia che «Nonostante le temperature registrate durante l’estate del 2021 non abbiano evidenziato valori da record in profondità, il confronto degli andamenti con l’anno precedente ha permesso di individuare un’anomala e repentina “ondata di calore” a giugno 2020 all’Isola d’Elba [Sant’Andrea] e all’AMP di Portofino, con temperature che in pochi giorni e per un periodo di tre settimane hanno registrato un aumento di circa 1,5 gradi centigradi rispetto al valore medio mensile, che ha coinvolto tutta la colonna d’acqua fino a 35-40 metri di profondità. Questi shock termici, registrati anche in Spagna e Francia, nello stesso periodo, dalla rete TMedNET, sono particolarmente dannosi per gli organismi sensibili». Inoltre, l’aumento delle temperature ha portato ad osservare a Sant’Andrea la presenza di «Alcune specie aliene, come il mollusco gasteropode di origine polinesiana Lamprohaminoea ovalis, osservato per la prima volta all’isola d’Elba durante i monitoraggi del progetto, segnalazione più settentrionale nel Mediterraneo per questa specie».

Alla luce di quanto sopra, pare quindi imprudente dichiarare, come si fa nel comma “Interferenze con le aree protette a terra (ZPS Monte Capanne‐Promontorio dell’Enfola; Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano)” dello Studio di Impatto ambientale, che «Il fatto che i lavori siano eseguiti completamente in mare e da mare (eccezion fatta per il consolidamento di banchina comunque esterno al Sito), consente di scongiurare l’interferenza con il Sito. L’intervento non andrà a minare in alcun modo la naturalità dei luoghi e gli ecosistemi mediterranei ivi presenti e si può ritenere preliminarmente coerente con le misure di conservazione del Sito». E’ evidente che ogni trasformazione a mare, visto il drammatico dissesto climatico e ambientale che stiamo vivendo (e che proprio a Sant’Andrea mostra picchi a livello di Mediterraneo), si ripercuoterà a terra, anche nelle aree protette.

Pertanto, viste le lacune presenti nella documentazione ambientale presentata, visti gli impatti sottovalutati e la scarsa o nulla considerazione delle cause derivanti dalla modifica della costa e dell’utilizzo del territorio, si chiede di:

Rivedere il progetto in base alle nuove conoscenze sulla biocenosi, della presenza di specie rare e/o a rischio  e del forte riscaldamento marino in atto a Sant’Andrea;

Verificare le cause terrestri dell’erosione della spiaggia e intervenire per eliminarle/mitigarle anche con interventi di bioingegneria che consentano (almeno in parte) un costante ripascimento naturale della spiaggia;

Rivedere il progetto per ridurne davvero gli impatti ambientali e per ricostruire un spiaggia la più simile possibile a quella che Sant’Andrea ha perso e non a una specie di striscia sabbiosa “industriale” di fronte a uno specchio di mare che rischia di diventare una piscina anormalmente calda.

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