In questi giorni il Governo affronta con Stellantis  (ex Fiat) e coi sindacati la questione degli esuberi di lavoratori programmati dall’azienda negli stabilimenti italiani. Stellantis ha di fatto concentrato in Francia la propria struttura apicale e di ricerca e sta relegando l’Italia ad un ruolo marginale.

Molti addebitano questa crisi dell’auto italiana alla scelta dell’Ue di limitare l’utilizzo dei motori a combustione interna per sostituirli con i motori elettrici. In realtà questa scelta, necessaria anche per limitare gli effetti della CO2 sul clima, non è la vera causa di questa crisi.

Molti altri Paesi europei hanno affrontato positivamente questa decisione, investendo sia sulla ricerca che sulla realizzazione delle necessarie infrastrutture di sostegno.

Risulta evidente che la politica aziendale di Stellantis mira sostanzialmente a garantire ai propri azionisti i maggiori benefici finanziari ottenibili a breve. Una politica che guarda, ancora una volta, al prossimo futuro e che non garantisce una prospettiva reale sulle riconversioni produttive necessarie per tutelare il pianeta.

Cosa può allora proporre l’Italia in questo scenario? L’impatto dell’auto sul clima non è limitato solo al tipo di combustibile utilizzato. Un’auto è composta anche di lamiere metalliche, di materiale strutturale, di tappezzeria, ecc.

Sarebbe paradossale se si limitasse l’attenzione solo alla sostituzione della benzina o del gasolio e poi si consentisse di utilizzare, ad esempio,  solo materiali vergini per costruire l’auto senza preoccuparsi di riciclarli o di smaltirli.

Se le aziende utilizzassero sempre e solo acciaio nuovo, plastica o altro senza preoccuparsi del recupero o continuando a smaltire incenerendo gli scarti, renderebbero sicuramente poco efficace una riconversione ecologica di questa industria produttiva basata solo sull’utilizzo di motori elettrici.

Quindi si può fare molto per favorire sia la riconversione ecologica sia l’economia e l’occupazione, anche in Italia, di questo settore industriale.

Le lamiere metalliche con cui realizzare le auto possono tranquillamente essere prodotte utilizzando acciaio recuperato. Per produrre questo acciaio non sono necessari altiforni alimentati da nuovi minerali estratti e da carbone, come quelli esistenti a Taranto o Piombino, ma forni elettrici alimentati da rottami. Questi rottami possono provenire dalle attività di recupero ma anche da nuove attività che in Italia ancora non esistono.

Ad esempio, l’Ue ha stabilito che le navi dovranno essere obbligatoriamente smantellate in Europa e non più in India o Turchia; nonostante l’Italia abbia una delle più grandi industrie cantieristiche, non esiste in Italia ancora nessuna localizzazione di una attività di smantellamento delle navi arrivate a fine vita. Di fatto milioni di tonnellate di acciaio escono dall’Italia in fase di realizzazione delle imbarcazioni ma niente di questo acciaio viene seriamente recuperato.

Una città come Piombino potrebbe tranquillamente essere sede di impianti di fusione con forni elettrici e di una attività di smontaggio delle navi, conservando la propria capacità produttiva di acciaio senza prevedere la riattivazione degli altiforni inquinanti.

Anche i cruscotti di plastica, che in fase di rottamazione delle auto finiscono nei rifiuti plastici destinati all’incenerimento, potrebbero tranquillamente essere sostituiti da cruscotti ottenuti da fibra di canapa sativa o da canapulo.

Sostituire la plastica per questi utilizzi con prodotti naturali come la canapa è oggi oramai una certezza.

Sarebbe pertanto sensato sviluppare una filiera agro-industriale che consentirebbe non solo di sostenere un’agricoltura in linea con gli obiettivi di tutela indicati dall’Ue, ma anche di conservare una capacità produttiva e occupazionale in un settore industriale (quale quello della produzione di manufatti in plastica) destinato ad una sicura crisi.

Anche la sostituzione dei tessuti sintetici attualmente utilizzati nell’industria di produzione delle auto con tessuti ottenuti da fibre naturali come la canapa darebbe un forte impulso allo sviluppo dell’industria tessile italiana.

Se quindi Stellantis continua a non vedere questo futuro nello sviluppo dell’automotive, allora sarebbe necessario che il Governo e l’imprenditoria italiana sensibile a queste tematiche si attivassero decisamente, affinché questa necessaria riconversione ecologica diventi realtà anche in Italia, anche utilizzando le consistenti risorse finanziarie che, come incentivi, continuano a sostenere una superata visione ancora fortemente presente oggi nelle industrie automobilistiche.

di Giuseppe Vitiello, presidente consorzio Con.CanapaTu.Val.I.

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