Sappiamo tutto, o quasi, sul cambiamento climatico, il riscaldamento globale, l’innalzamento del livello dei mari e lo scioglimento dei ghiacciai. Abbiamo ogni giorno testimonianza dei danni provocati da alluvioni, incendi, siccità e altri eventi climatici avversi, sempre più frequenti. Siamo consapevoli che le risorse naturali del pianeta sono limitate, che i materiali fossili provocano danni alla natura, agli animali e minacciano la nostra salute.

Perché, allora, continuiamo a comprare, consumare e buttare via ogni tipo di bene? Come potremo migliorare il nostro stile di vita e diventare davvero più circolari e sostenibili? Saranno le tecnologie digitali ad accelerare un cambiamento sempre più urgente e necessario?

Con questi interrogativi sullo sfondo, si è svolto il 15 settembre scorso un webinar dal titolo “Accelerating circular behaviours: How can digitalisation help us?”, organizzato nell’ambito della European Circular Economy Stakeholder Platform.

Leggi anche: Verde, digitale e resiliente: è la crescita su cui punta l’Unione europea

Comportamenti sostenibili cercasi

L’iniziativa, promossa dall’organizzazione no-profit Collaborating Centre for Sustainable Consumption and Production (CSCP), ha esplorato il tema dei comportamenti individuali come parte fondamentale del percorso di transizione ecologica, e della digitalizzazione, come facilitatore del cambiamento verso la circolarità. Hanno partecipato al dibattito, tra gli altri, William Neale, consulente di economia circolare della Commissione europea, Cynthia Reynolds, fondatrice di Circular Regions, e Markus Terho del Fondo finlandese per l’innovazione Sitra.

Consumatori irrazionali

Anche se percepiamo noi stessi come animali razionali, che basano le proprie scelte su ponderati ragionamenti, quando abbiamo a che fare con comportamenti quotidiani e acquisti – come fare la spesa, andare a lavoro, buttare la spazzatura o scegliere lo smart-phone – siamo guidati più dall’istinto, dall’abitudine e dalle emozioni, che dalla ragione. “Le persone sono irrazionali” sintetizza Marianna Nicolau di  CSCP.

Questa considerazione spiega parzialmente perché, nonostante tutte le indagini confermino la consapevolezza e la volontà dei cittadini europei di proteggere l’ambiente e diventare più sostenibili, i dati di consumo e di produzione dei rifiuti non riflettono questa intenzione.

Leggi anche: Giornata sprechi alimentari: “L’Europa spreca più cibo di quanto ne importa”

Sommersi dai rifiuti hi-tech

Prendiamo un settore significativo per il percorso di digitalizzazione come l’hi-tech. Fa un certo effetto sapere che i rifiuti elettronici hanno raggiunto globalmente le 50.000 tonnellate nel 2018 e che tale dato, in aumento ogni anno di 3-4 punti percentuali, è destinato a fare del così detto e-waste il rifiuto più rapidamente in crescita al mondo. E non è tutto.

Nonostante si parli molto in Europa di diritto alle riparazioni, di riuso e ricondizionato, la vita utile della maggior parte dei prodotti elettronici sta diminuendo. Molti apparecchi vengono rimpiazzati 2-3 anni prima di quanto previsto dai produttori (fonte EEA). Si stima che più di un terzo dei consumatori europei non abbia mai scelto di riparare un prodotto elettronico (fonte DG JUST 2018).

Leggi anche: Al Parlamento europeo via libera alla risoluzione che spinge sul diritto alla riparazione

Disfattismo climatico e marketing

Come invertire, dunque, questo trend? Non è semplice dare una risposta e l’ottimismo vacilla, se pensiamo che la produzione di plastica aumenta, le cicche di sigaretta sono dappertutto e la nostra dieta continua a contenere troppa carne e cibi ad alto impatto ambientale. Complice della riluttanza a cambiare le nostre scelte e abitudini, è anche il così detto disfattismo climatico.

Gli obiettivi da raggiungere per invertire la rotta e fronteggiare la crisi ambientale sembrano tanto ambiziosi da indurre molti a pensare che siano irraggiungibili. Per non parlare del peso che esercitano le pratiche di marketing delle aziende, che sembrano sapere benissimo su quali tasti battere per influenzare le scelte degli individui e invogliarli al consumo. Se è vero, dunque, che non si può scaricare il peso della sfida climatica sui cittadini, è anche da ricordare che la loro voce conta e il loro agire non è ininfluente.

Leggi anche: Cinque minuti al giorno per combattere l’eco-ansia

Strumenti del cambiamento

A partire da questo assunto, le iniziative per studiare e comprendere i comportamenti individuali e incoraggiarne il cambiamento, non mancano. Durante il seminario, tenuto nell’ambito dei EU CircularTalks, i relatori hanno presentato numerosi progetti e sottolineato il ruolo delle tecnologie digitali in questo percorso.

Nuove app, piattaforme web, intelligenza artificiale e data-base possono essere strumenti utili a capire come si muovono le scelte dei consumatori, di quali informazioni hanno bisogno e quali incentivi, anche di carattere emotivo e sociale, possono essere utili a cambiare le loro insostenibili abitudini.

Parole d’ordine per rallentare il consumo

L’obiettivo dell’economia circolare in questo contesto, come ha ricordato Willian Neal, non è solo reimmettere le risorse nel cerchio economico ma anche rallentarne il consumo, specie nella parte in cui le materie prime sotto forma di prodotti sono nelle mani dei consumatori. Le parole d’ordine, a questo scopo, continuano ad essere: “repair/reuse/remanufacture/recycle”. Si stima che più dell’80% degli impatti ambientali di un prodotto siano determinati nella fase di design.

Per questo – ha ricordato il consulente della DG Environment – la Commissione ha adottato il nuovo regolamento su Ecodesign for sustainable products lo scorso marzo e sta mettendo a punto il sistema del passaporto digitale dei prodotti. Questo strumento dovrà essere capace di informare i consumatori, nel modo più semplice e trasparente, su provenienza, impatti ambientali, materiali e filiera di ogni prodotto commercializzato nell’Ue.

Informazioni in circolo

Sempre con lo sguardo rivolto alla circolarità e alla condivisione delle informazioni è la piattaforma Circular Regions, presentata da Cynthia Reynolds. Si tratta di un hub digitale, che raccoglie e mette a disposizione di cittadini e imprese, strategie, progetti, modelli di business, casi studio e dati sull’economia circolare a livello locale, proprio allo scopo di mettere in condivisione secondo un criterio bottom-up le esperienze dei singoli e delle comunità.

App digitali per nuovi stili di vita

Un interessante strumento digitale è stato poi presentato da Marcus Terho. Finanziato dal programma Horizon 2020, Positive and Sustainable Lifestyle prevede lo sviluppo di una applicazione, in sperimentazione in 8 paesi pilota, tra i quali anche l’Italia, che possa individuare e incoraggiare le scelte sostenibili dei cittadini. Nell’ambito del progetto è stata realizzata in Finlandia un’indagine sociale sui driver di cambiamento dei comportamenti individuali, accompagnata dalla definizione di un menu di specifiche scelte sostenibili, realizzabili localmente, da declinare in seguito negli altri paesi coinvolti.

Attraverso l’app, gli utenti potranno esplorare e pianificare le proprie azioni di riduzione degli impatti. L’iniziativa punta a raggiungere entro il 2025 almeno 4 milioni (770.000 in Italia) di cittadini europei. Molto si punta, dunque, su best-practice e sperimentazioni digitali. Tra queste, anche Re4circular, una piattaforma per catalogare, differenziare e digitalizzare i rifiuti tessili, sviluppata da una start-up italiana grazie all’intelligenza artificiale.

Nonostante la fiducia nelle tecnologie, tuttavia, il dibattito si è chiuso ricordando che non tutta la popolazione, oggi, ha accesso agli strumenti digitali, che non si può puntare solo su di essi e che, per compiere una vera trasformazione ecologica, nessuno deve restare indietro.

© Riproduzione riservata

L’articolo Cercasi stili di vita circolari: il ruolo del digitale per cambiare i nostri consumi proviene da Economia Circolare.