Spesso quando si raccontano casi di adattamento ai cambiamenti climatici si pensa agli impatti negativi di alluvioni, inondazioni, siccità e incendi sulla sicurezza alimentare e idrica delle comunità agricole, la cui sopravvivenza è messa a rischio da questi eventi catastrofici. Tuttavia, anche i centri urbani possono essere colpiti duramente dai cataclismi indotti dal riscaldamento globale e necessitano quindi interventi per limitarne gli effetti devastanti.

Quando si parla di “città resilienti” ci si riferisce quindi a comunità urbane in grado di adattarsi, sopravvivere e svilupparsi anche in presenza di tali eventi. Del resto, data l’elevata densità di popolazione, il rischio in termini di vittime è persino maggiore. Le esigenze e gli interventi, però, sono diversi rispetto a quelli messi in atto ad esempio per riadattare l’agricoltura o gli allevamenti o la difesa della biodiversità nelle foreste e sono più orientate alla costruzione di infrastrutture per reagire in maniera adeguata ai problemi.

Le città devono avere un piano di resilienza

Spetta alle amministrazioni locali calcolare il rischio climatico e individuare le aree cittadine più vulnerabili mettendo in campo dei piani integrati di resilienza proattivi, con strategie, politiche, incentivi e infrastrutture per prevenire e reagire in maniera efficace. Interventi di ampio raggio che richiedono molto tempo per essere realizzati, ben oltre il mandato di un’amministrazione e quindi la precondizione è una visione di lungo periodo e condivisa dalla comunità che vada oltre le divisioni politiche.

Un esempio di piano di resilienza è quello messo in atto dall’Autorità Portuale di New York e del New Jersey, che nel 2018 ha stilato le “Linee guida per la progettazione della resilienza climatica” con lo scopo di massimizzare la sicurezza, il servizio e la resilienza a lungo termine delle proprie infrastrutture, riadattandole per gestire l’innalzamento dei livelli del mare. Tra le strategie la costruzione di argini più alti a protezione della costa, il posizionamento delle strutture su terrapieni più elevati, la costruzione di barriere contro le inondazioni per limitare il rischio di alluvioni e l’impermeabilizzazione delle strutture.

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L’ostacolo economico da superare per un vero adattamento

Eppure la volontà politica non basta. Questi interventi sono particolarmente costosi e le città non hanno spesso risorse sufficienti per metterle in atto senza l’aiuto del governo centrale. Né è semplice trovare investitori privati per raccogliere finanziamenti perché gli interventi sono difficili da monetizzare e quindi non sono percepiti dai privati come un buon investimento. Il contesto è ancora più drammatico nei Paesi in via di sviluppo a basso reddito, dove mancano i fondi necessari anche a livello centrale.

Si tratta in ogni caso di investimenti indispensabili. Oltre all’ovvia ragione di salvare vite umane, la salute e il benessere dei cittadini, nei prossimi anni le città resilienti saranno quelle ad avere un vantaggio competitivo sulle altre perché più attrattive per capitali e nuovi abitanti. Mentre a livello di bilancio l’investimento verrà comunque ripagato: la spesa delle amministrazioni per soccorrere la popolazione e ricostruire le infrastrutture danneggiate dai sempre maggiori eventi climatici avversi aumenterà esponenzialmente, mentre infrastrutture resilienti diminuiranno i costi dopo un evento climatico avverso.

Rotterdam e Yokohama: le città più resilienti al mondo

Fortunatamente ci sono numerosi esempi di come le città si stiano muovendo in questa direzione. Secondo un’indagine di Economist Impact, le città più resilienti al mondo sono New York, Los Angeles e Londra. Particolarmente interessanti per capire le politiche pubbliche da intraprendere per rendere resiliente una città sono Rotterdam in Olanda e Yokohama in Giappone: città in passato duramente colpite da inondazioni e alluvioni che si sono riorganizzate per fronteggiarle proattivamente e hanno approfittato dei lavori per riconsiderare globalmente l’idea di centro urbano.

Per rendere Rotterdam una città resiliente, dal 2007 è partito il “progetto Rotterdam” basato sulla gestione delle acque, in cui c’è stato un vero e proprio ripensamento del piano urbanistico cittadino, con edifici “adattabili”, come i quartieri galleggianti, che si adattano alla fluttuazione dei livelli dell’acqua e soluzioni di retrofitting sensibili al clima, capaci di rifunzionalizzare alcune strutture esistenti: è il caso di un garage sotterraneo, che è diventato un collettore di 10 mila metri cubi d’acqua di capacità nel caso di alluvioni. Oltre a una serie di interventi per rendere più sostenibile il centro cittadino, come giardini sui tetti.

A Yokohama, invece, gli interventi del programma “Yokohama Smart city” non si sono limitati all’adattamento della città di fronte al pericolo delle alluvioni e dei terremoti che abitualmente colpiscono il Giappone (un esempio è l’International Stadium Yokohama, costruito sopraelevato per resistere alle inondazioni e dare riparo a 70.000 cittadini durante una catastrofe naturale) ma anche rendere più resiliente a livello energetico l’enorme città. Sono stati messi in campo sistemi nuovi di generazione energetica fondati sull’utilizzo delle fonti rinnovabili, con un ripensamento globale della rete energetica e la diffusione delle smart grid, della mobilità e della gestione dei rifiuti e del riciclo dei fanghi fognari.

Adattamento climatico e soluzioni basate sulla natura

Per le nazioni a basso reddito, peraltro le più colpite dai cambiamenti climatici, interventi del genere sono purtroppo impossibili. Tuttavia, ci sono esempi in cui le soluzioni di adattamento “basate sulla natura”, sono state uno strumento a basso costo per rafforzare la resilienza dei centri urbani. Piantumare alberi, migliorare la gestione dei bacini idrografici per conservare l’acqua durante la siccità, sistemi di drenaggio urbano sostenibili e barriere costiere naturali, sono metodi meno dispendiosi ma altrettanto importanti. Influiscono positivamente, inoltre, nella lotta alla decarbonizzazione e all’inquinamento.

Tra gli esempi più noti, il caso di El Salvador, dove la capitale San Salvador punta a diventare una “città spugna”. Le inondazioni e le frane erano un pericolo mortale per l’economia della città perché distruggono i terreni circostanti, dove si trovano le remunerative piantagioni di caffè. Con il supporto dell’Unep, l’amministrazione comunale ha quindi lanciato il progetto CityAdapt. Il principio alla base è semplice: la terra è in grado di assorbire meglio le precipitazioni. Perciò gli alberi e altra vegetazione possono essere usati come spugne, attirando enormi quantità di acqua nella terra, prevenendo l’erosione, limitando le inondazioni e ricaricando le riserve di acqua sotterranea per i periodi di siccità.

In Honduras le autorità hanno adottato ben venti misure di adattamento per fornire a San Pedro Sula informazioni concrete per prevedere e affrontare in modo proattivo i rischi climatici, migliorando significativamente la sua capacità di ridurre queste minacce, come la manutenzione dei sistemi di drenaggio, il rimboschimento lungo i letti dei fiumi e costruzione di paludi vegetate nelle zone più soggette a inondazioni della città. L’obiettivo, inoltre, sarebbe continuare a investire per migliorare la rete di monitoraggio meteorologico e i sistemi di allarme rapido per difendersi dagli uragani.

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Città resilienti hanno abitazioni resilienti

Poiché parliamo di centri urbani, le abitazioni sono un elemento chiave nello sviluppo di città resilienti. Per prima cosa garantire alloggi adeguati, sicuri e a prezzi accessibili è al centro dell’Obiettivo 11 dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite. E poi la limitazione delle emissioni di gas serra passerà proprio da abitazioni più sostenibili, visto che attualmente le case apportano ben il 19% delle emissioni globali. Mentre l’obiettivo del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite è arrivare al 2050 con tutti gli edifici a zero emissioni.

In tutto ciò si aggiungono le necessità di adattamento ai cambiamenti climatici. Le abitazioni resilienti sono case in grado di resistere e adattarsi agli effetti negativi dei cambiamenti climatici o dei disastri naturali. Pertanto, le case resilienti devono essere pianificate, progettate, costruite, gestite e mantenute per ridurre la vulnerabilità dalle minacce indicate. Ad esempio evitando aree con elevata esposizione a inondazioni o forti venti; con fondamenta rialzate al di sopra del livello massimo di allagamento; muri rinforzati costruiti con materiali durevoli come legno di cocco o bambù; tetto con pendenza adeguata per resistere ai venti e facilitare la raccolta della pioggia.

La sfida più resilienti nelle città africane

Ancora una volta, l’ostacolo principale è riuscirci nelle nazioni più povere del mondo: prima fra tutti l’Africa, dove nei prossimi decenni ci sarà la maggiore esplosione demografica sul Pianeta. Fortunatamente alcuni progressi si stanno comunque registrando. Il Kenya, ad esempio, nel Piano di sviluppo integrato ha imposto che tutti i progetti di alloggi a prezzi accessibili devono essere allineati ai requisiti della certificazione verde globale. La Nigeria ha promulgato il Climate Change Act del 2021, la prima legislazione autonoma sui cambiamenti climatici nell’Africa occidentale. Tuttavia, Lagos è risultata essere la peggiore tra le città analizzate nella ricerca di Economist Impact.

Un’iniziativa notevole di abitazioni resilienti in Africa è stata messa in atto dal Mozambico con il Coastal City Adaptation Project. Il Mozambico è stato gravemente colpito dagli effetti del cambiamento climatico: circa il 60% dei 28 milioni di persone del Paese vive in zone costiere a livello del mare, dove l’innalzamento delle acque e frequenti e intense tempeste causano inondazioni, erosione e smottamenti, minacciando comunità, case e attività economiche. Il programma mira a sostenere i governi e le comunità locali nelle città di Pemba e Quelimane nello sviluppo di soluzioni e tecniche di costruzione accessibili e resilienti.

Infine, su scala più piccola, c’è l’esempio del Malawi, dove il durabric viene sempre più utilizzato come alternativa sostenibile rispetto ai tradizionali mattoni di argilla cotta per la costruzione di case. Si tratta di un mattone composto da una combinazione di terra, sabbia, cemento e acqua. A differenza degli altri, non deve essere cotto e quindi ha contribuito a limitare la deforestazione e le emissioni di gas. Ancora una volta, la prova di come, a volte, il percorso verso l’adattamento e la resilienza sia fatto da piccole azioni mirate. Ma senza investimenti ingenti, sarà impossibile replicare in Africa le misure di adattamento adottate nei Paesi più ricchi.

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