Settimana dopo settimana, è ormai da febbraio che il ministro dell’Ambiente – Gilberto Pichetto – annuncia l’ormai prossima approvazione del decreto necessario a erogare gli attesi incentivi alle Comunità energetiche rinnovabili (Cer).
Nel corso dell’assemblea nazionale dell’Anci, ieri il ministro ha incolpato dei ritardi la Commissione europea: «L’iter tecnico del provvedimento a Bruxelles è finito, con tutte le interlocuzioni; quindi, manca la formale comunicazione coi tempi che non decido io ma la Commissione europea. È una grande occasione per cambiare il modello di produzione e di consumo. Le risorse sono importanti specie per i piccoli Comuni, che avranno ben il 40% dell’investimento a fondo perduto».
Peccato però che il decreto per gli incentivi sia in ritardo ormai quasi due anni. Le Cer rappresentano infatti i nuovi soggetti giuridici, delineati dal recepimento della direttiva europea Red II, costituibili a partire da un gruppo di singoli soggetti – come famiglie, stabilimenti produttivi e Comuni – che decidono di autoprodurre, accumulare e scambiarsi energia generata da fonti rinnovabili, nello spirito di una vera comunità e aprendo al contempo realizzazione di nuovi modelli di business.
I relativi impianti di produzione possono raggiungere 1 MW di potenza, e devono essere connessi alla rete elettrica attraverso la stessa cabina primaria – corrispondente territorialmente a circa 3-4 Comuni oppure 2-3 quartieri di una grande città – su cui insistono gli iscritti alla Cer.
Da anni non si riesce a sbloccare questa partita, in teoria relativamente semplice, eppure il ministro continua a puntare su una sempre più fumosa avventura nucleare: «Il referendum del 2011 faceva riferimento ad una tecnologia di prima o seconda generazione, come se avessimo deciso di vietare una Ferrari con un referendum sulla bicicletta, entrambe sono mezzi di trasporto. Credo che tra dieci anni saranno le imprese stesse a volerci chiedere i permessi per installare piccole centrali aziendali, così come ora fanno per gli impianti fotovoltaici».
In realtà degli Small modular reactors (Smr), si parla dagli anni ’80 del secolo scorso, e due giorni fa l’Agenzia internazionale dell’energia (Iea) ha ribadito che la tecnologia nucleare – considerando anche i costi di sistema – resterà assai meno economica delle rinnovabili in Europa, sia al 2030 sia al 2050, quando il percorso di decarbonizzazione dovrà essere ormai completato.
Nel frattempo non c’è ancora traccia dell’opera nucleare più importante per il Paese, ovvero il Deposito unico nazionale per i rifiuti radioattivi. Il suo iter è iniziato nel 2010 durante il Governo Berlusconi IV. La sua realizzazione è attesa per il 2025, ma di fatto ad oggi non è stata resa pubblicamente disponibile neanche la Carta nazionale delle aree idonee a ospitare il sito. Il Governo Meloni si è impegnato ad approvarla «verosimilmente entro il corrente anno», ma il 31 dicembre si avvicina e dell’atto non c’è traccia.
Nel merito, il ministro durante l’assemblea Anci si è limitato ad affermare che «abbiamo 98.000 metri cubi di scorie ospedaliere in venticinque siti: oltre al dibattito ideologico, mettiamo i piedi per terra come fanno i sindaci nelle loro amministrazioni».
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