Quasi un’auto nuova su cinque immatricolata nell’Ue nel 2021 era una elettrica ricaricabile e la vendita di auto nuove a diesel e a benzina verrà vietata nel 2035: le batterie diventeranno quindi un imperativo strategico per l’Europa, ma il Vecchio continente rischia di perdere la corsa per diventare una superpotenza industriale in questo comparto, avverte una nuova relazione della Corte Ue.
La capacità di produzione di batterie dell’UE si sta sviluppando rapidamente, con una potenzialità di crescita da 44 GWh nel 2020 a 1 200 GWh entro il 2030. Tuttavia, queste proiezioni non sono affatto una certezza e potrebbero essere messe a rischio da fattori geopolitici ed economici.
«Per le batterie, l’Ue non deve finire nella stessa posizione di dipendenza in cui si è trovata per il gas naturale; in gioco c’è la sua sovranità economica – spiega Annemie Turtelboom, il membro della Corte responsabile dell’audit – Programmando lo stop alla vendita di auto nuove a benzina e diesel per il 2035, l’Ue sta puntando molto sulle batterie. Ma potrebbe partire svantaggiata in termini di accesso alle materie prime, interesse degli investitori e costi».
Tra il 2014 e il 2020, il settore delle batterie ha ricevuto almeno 1,7 miliardi di euro di sovvenzioni e garanzie sui prestiti Ue, in aggiunta a quasi 6 miliardi di aiuti di Stato autorizzati tra il 2019 e il 2021, principalmente in Germania, Francia ed Italia. Gli auditor della Corte hanno però riscontrato che la Commissione europea non dispone di un quadro d’insieme di tutto il sostegno pubblico offerto al settore, il che ne limita la capacità di garantire un adeguato coordinamento e un sostegno mirato.
Innanzitutto, i fabbricanti di batterie potrebbero abbandonare l’Ue e trasferirsi in altre regioni, non da ultimo gli Usa, che offrono loro massicci incentivi. A differenza dell’Ue, gli Usa sovvenzionano direttamente la produzione di minerali e batterie, nonché l’acquisto di veicoli elettrici fabbricati negli Stati Uniti utilizzando componenti americane.
In secondo luogo, l’Ue dipende fortemente dalle importazioni di materie prime, soprattutto da pochi paesi con i quali non ha accordi commerciali: l’87% delle importazioni di litio grezzo proviene dall’Australia, l’80% delle importazioni di manganese dal Sud Africa e dal Gabon, il 68% delle importazioni di cobalto grezzo dalla Repubblica democratica del Congo e il 40% delle importazioni di grafite naturale grezza dalla China. Sebbene l’Europa disponga di diverse riserve minerarie, tra la scoperta e la produzione servono almeno 12-16 anni, per cui è impossibile rispondere rapidamente all’aumento della domanda. I
nvece, gli accordi contrattuali esistenti garantiscono in genere un approvvigionamento di materie prime per soli 2 o 3 anni di produzione futura. Per affrontare tale situazione, nel marzo di quest’anno la Commissione europea ha proposto una normativa sulle materie prime critiche, i cui frutti sono ancora da soppesare.
In terzo luogo, la competitività della produzione di batterie dell’Ue potrebbe essere messa a rischio dall’aumento dei prezzi delle materie prime e dell’energia. Alla fine del 2020, il costo di un pacco batterie (200 euro per kWh) era più che raddoppiato rispetto all’importo programmato. Solo negli ultimi due anni, il prezzo del nichel è aumentato di oltre il 70% e quello del litio dell’870%.
Complessivamente, gli auditor della Corte mettono in guardia contro due potenziali scenari peggiori nel caso la capacità di produzione dell’industria delle batterie dell’UE non dovesse crescere come previsto. Nel primo, l’Ue potrebbe essere costretta a posticipare lo stop ai veicoli con motori termici al di là del 2035, mancando così gli obiettivi relativi alla neutralità in termini di emissioni di carbonio. Nel secondo, l’Ue potrebbe dover dipendere fortemente da batterie e veicoli elettrici non-Ue, a scapito dell’industria automobilistica europea e della relativa manodopera, per riuscire a disporre di un parco veicoli a emissioni zero entro il 2035. Entrambi scenari tutt’altro che sostenibili.
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