A fronte di un immesso al consumo di imballaggi in plastica pari a 1,86 mln di tonnellate annue (2021), in Italia circa 1 mln di ton è stato avviato a riciclo, mentre 407mila ton sono state destinate a recupero energetico e 143mila ton conferite in discarica. Dati che sono destinati a cambiare molto da qui al 2030.

Secondo la nuova proposta di regolamento avanzata dalla Commissione Ue, per allora tutti gli imballaggi (in plastica o meno) dovranno essere riciclabili. Per questo Corepla, il Consorzio nazionale dedito a raccolta, riciclo e recupero degli imballaggi in plastica, ha siglato nei giorni scorsi un accordo con Conai, Unionplast e Ippr volto ad attestare l’effettiva riciclabilità degli imballaggi in plastica.

Sappiamo però già che è tecnicamente impossibile raggiungere, anche in quest’ambito, una circolarità del 100%: anche raggiungendo un ipotetico 100% di raccolta differenziata, ad ogni trasformazione la materia e l’energia si degradano – come insegna il secondo principio della termodinamica –, rendendo impossibile recuperarle in toto. E questo senza considerare le frazioni estranee presenti nella differenziata. Occorre dunque imparare a valorizzare al meglio anche quei rifiuti che continueremo a non poter riciclare meccanicamente.

In quest’ottica, Corepla e Federbeton – la federazione confindustriale che rappresenta i produttori di cemento e calcestruzzo – hanno firmato un protocollo d’intesa per formalizzare una collaborazione sul tema del recupero energetico, incentrato sulla gestione degli scarti non riciclabili provenienti dall’attività di selezione della raccolta differenziata degli imballaggi in plastica, come il plasmix.

L’orizzonte è quello di avviare questi rifiuti plastici agli impianti di produzione di combustibili alternativi (come il Css – Combustibile solido secondario), sfruttandone l’altissimo potere calorifico e di sottrarli al conferimento in discarica. Come? Ad esempio mettendo in campo iniziative per rendere omogenea sul territorio l’applicazione delle semplificazioni autorizzative che rendono l’utilizzo di Css-combustibile equiparabile a quello degli altri combustibili “tradizionali”.

«A nostro avviso – dichiara il presidente di Corepla, Giorgio Quagliolo – i benefici ambientali derivanti dall’impiego di CSS sono legati a fattori importanti come la sostanziale attenuazione delle emissioni di CO2 e il minor consumo di combustibili fossili. Il protocollo d’intesa con Federbeton si inserisce in questo solco, consentendo a un importante settore industriale come quello del cemento di elevare il grado di sostenibilità produttiva della filiera».

Ad oggi il tasso di sostituzione calorica con combustibili alternativi nelle cementerie in Italia è fermo al 22%, ben lontano dalla media europea (52%); secondo una recente stima elaborata dal laboratorio Ref ricerche, un tasso di sostituzione calorica del 66% in Italia porterebbe al taglio annuo di 6,8 mln di tonnellate di CO2 emesse in atmosfera.

«L’uso dei combustibili alternativi rappresenta una soluzione fondamentale per la filiera del cemento e del calcestruzzo. Si tratta di una pratica con grandi potenzialità inespresse, che può portare una riduzione delle emissioni e contribuire a una più efficiente gestione dei rifiuti non riciclabili, a vantaggio della collettività», commenta il presidente di Federbeton, Roberto Callieri.

Bruciare il Css nei cementifici non è comunque l’unica opzione a disposizione per sottrarre i rifiuti non riciclabili meccanicamente alla discarica: un’alternativa sostenibile è quella offerta dal riciclo o dal recupero chimico, ovvero da tutti quei processi di conversione chimica delle molecole di idrogeno, carbonio e ossigeno contenute in questi rifiuti in un gas di sintesi (syngas), da cui poter ottenere prodotti come etanolo, metanolo e idrogeno.

Idrogeno che potrebbe essere impiegato proprio per decarbonizzare un industria simbolo dei settori hard-to-abate come quella del cemento. Come del resto affermato lo scorso autunno proprio dal vicepresidente di Federbeton, Antonio Buzzi, è importante che «nella pianificazione impiantistica sul territorio, le amministrazioni adottino un approccio neutrale nei confronti delle tecnologie e dei processi. È fondamentale utilizzare metodiche Lca (Life cycle assessment) e Lcca (Life cycle cost analysis), calate nella specifica realtà territoriale e prendendo in considerazione anche gli impianti già esistenti. Solo così c’è la garanzia di fare scelte realmente efficaci dal punto di vista della sostenibilità».

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