È stata presentata oggi a Roma la quarta edizione del Rapporto ambiente, frutto del Sistema nazionale per la protezione ambientale (Snpa), che offre uno spaccato del Paese attraverso 21 indicatori che indagano varie dimensioni dello sviluppo sostenibile.

Tra questi indicatori solo 6 mostrano un trend positivo, mentre gli altri si dividono tra non definibile (6), negativo (5) e stabile (4).

Ma andando più a fondo nell’analisi il quadro peggiora ancora: tra i pochi trend positivi spicca quello sulle fonti rinnovabili, il cui impiego è triplicato dal 2004 al 2020. Vent’anni fa le fonti pulite coprivano appena il 6,3% del consumo lordo di energia, per arrivare al 20,4% nell’anno della pandemia; per rispettare i nuovi obiettivi Ue al 2030 dovranno però raddoppiare ancora (almeno al 42,5%) in appena sette anni, ma l’Italia è molto lontana dall’installare nuovi impianti alla velocità necessaria.

E se quello delle fonti rinnovabili viene individuato come trend “positivo”, l’andamento delle emissioni di gas serra viene esplicitamente inserito tra quelli negativi, dato che «non va nella direzione auspicabile dal punto di vista ambientale».

Tra i trend “positivi” è compreso anche l’inquinamento atmosferico da Pm2.5, nonostante mieta ogni anno 46.800 vite nel nostro Paese. Come per le rinnovabili, in questo caso il rapporto Snpa guarda all’andamento storico confermando «l’andamento decrescente del PM2,5 negli ultimi 10 anni», ma guardando la prossimo futuro aggiunge che risulta «superato, nella quasi totalità delle stazioni di monitoraggio, il valore di riferimento annuale dell’Oms (99,7% dei casi) che nelle nuove linee guida è stato ridotto a 5 µg/mc».

Peggio ancora va per il consumo di suolo, aumentato di oltre 120.000 ettari dal 2006 al 2022, o per la generazione dei rifiuti speciali – entrambi tra i trend “negativi” –, dato che «rispetto all’obiettivo di ridurre in modo significativo la quantità totale di rifiuti speciali prodotti entro il 2030, in Italia aumenta la produzione».

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