Man mano che molteplici tecnologie di riciclo chimico vanno affacciandosi (anche) nel nostro Paese, si moltiplicano anche gli studi in merito alla loro sostenibilità ambientale.
Si tratta di tecnologie come depolimerizzazione chimica, pirolisi, gassificazione, cracking, etc, in grado di valorizzare rifiuti difficilmente riciclabili a livello meccanico – come gli imballaggi plastici misti, tipo plasmix –, finora destinati ad essere bruciati o smaltiti in discarica.
Il riciclo chimico permette invece di spezzare la struttura chimica di questi rifiuti nei loro elementi costituenti – come carbonio, idrogeno e ossigeno – per re-impiegarli nella realizzazione di nuovi prodotti o carburanti sostenibili (in quest’ultimo caso si parla di recupero chimico).
Con quali impatti ambientali? Dipende, in base alla tecnologia e al contesto considerati. Un recente studio mostrato dal Leap (Laboratorio Energia e Ambiente Piacenza del Politecnico di Milano) insieme a Federbeton – la Federazione di Confindustria che rappresenta le associazioni della filiera del cemento e del calcestruzzo – ad esempio ha confrontato l’impiego dei rifiuti plastici per la produzione di Css da impiegarsi in co-combustione nei cementifici con il riciclo chimico degli stessi rifiuti plastici, per produrre in questo caso nuove plastiche.
In questo caso lo studio ha mostrato che l’utilizzo del Css per la produzione di cemento comporta minori emissioni di CO2 e un minor consumo energetico rispetto all’utilizzo degli stessi nei processi di riciclo chimico, in una prospettiva che sembra coerente con le aspettative dell’industria di settore.
«L’industria italiana del cemento sta affrontando una congiuntura economico-sociale complessa. Oltre che con la sfida per la decarbonizzazione, il comparto è alle prese con i continui rialzi dei costi dell’energia», commenta nel merito il presidente di Federbeton, Roberto Callieri.
In quest’ottica l’impiego di Css aiuta a tenere basse le bollette dei cementifici, ma potrebbero esserci soluzioni decisamente migliori sotto il profilo ambientale, a partire dall’impiego dell’idrogeno – peraltro ottenibile anche dal riciclo chimico dei rifiuti – per decarbonizzare un industria simbolo dei settori hard-to-abate.
«È importante che, nella pianificazione impiantistica sul territorio, le amministrazioni adottino un approccio neutrale nei confronti delle tecnologie e dei processi – sottolinea comunque Antonio Buzzi, vicepresidente di Federbeton – È fondamentale utilizzare metodiche Lca (Life cycle assessment) e Lcca (Life cycle cost analysis), calate nella specifica realtà territoriale e prendendo in considerazione anche gli impianti già esistenti. Solo così c’è la garanzia di fare scelte realmente efficaci dal punto di vista della sostenibilità».
Tra i le più recenti analisi condotti in materia spiccano quella in fase di pubblicazione del Jrc europeo, che suggerisce impatti ambientali migliori per il riciclo chimico rispetto ad approcci più tradizionali alla gestione dei rifiuti non riciclabili meccanicamente; uno studio Lca condotto da Sphera e revisionato da esperti Unep, Eunomia e Northwestern University, che testimonia un minor impatto ambientale per il riciclo chimico rispetto alla termovalorizzazione; infine, il nuovo lavoro condotto dall’Earth engineering center (Eec) della City University di New York, che esamina i risultati di 13 studi Lca sul riciclo chimico della plastica.
Quest’ultima analisi mostra che il riciclo chimico «può trasformare la plastica difficile da riciclare in prodotti con un’impronta di carbonio inferiore rispetto a quelli realizzati con risorse vergini»; che tale processo riduce anche il consumo di energia e le emissioni di gas serra rispetto ai metodi convenzionali di gestione dei rifiuti, come «il conferimento in discarica e la termovalorizzazione»; che il riciclo chimico ha «contribuito alla circolarità della plastica» in tutte e 13 le Lca.
«Man mano che il riciclo avanzato diventa sempre più efficiente, è pronto a svolgere un ruolo importante nel raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità globale – spiega l’autore dello studio, l’ingegnere chimico e direttore dell’Eec Marco J. Castaldi – Può trasformare la plastica difficile da riciclare in una moltitudine di materie prime ad alto valore, riducendo la necessità di risorse fossili e limitando l’impatto ambientale della gestione dei rifiuti. Inoltre, i dati suggeriscono che la nostra transizione verso un’economia più circolare migliorerà notevolmente i risultati climatici».
L’articolo Dal riciclo chimico nuova vita per la plastica, in grado di ridurre l’impatto sul clima sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.