Quando nel 1971, il biologo marino Edward Carpenter fece una scoperta scioccante, trovando piccoli frammenti di plastica che galleggiavano a migliaia di miglia dalla costa orientale dell’America, nell’Oceano Atlantico, probabilmente non pensava che dopo 52 anni, i primi dei quali passati a convincere il mondo scientifico della sua scoperta, la situazione si sarebbe aggravata come oggi la descrive nel suo web report “From source to sea — The untold story of marine litter” l’European environment agency (EEA): «Le fonti terrestri rappresentano un enorme 80% dei rifiuti marini in Europa, e circa l’85% di questi è costituito da plastica. Gli imballaggi e i piccoli oggetti in plastica costituiscono quasi l’80% di questi rifiuti di plastica»
Il nuovo rapporto EEA è il primo studio europeo di questo genere che esamina in modo olistico il modo in cui questi rifiuti vengono creati e finiscono nei nostri mari europei attraverso i nostri fiumi ed evidenzia che «Di fronte all’aumento dei rifiuti di plastica, occorre fare di più in tutta Europa per affrontare le cause profonde dei rifiuti marini alla fonte, per evitare che i rifiuti inquinino i fiumi interni e si dirigano verso le nostre coste e i nostri mari».
Il rapporto fa 10 raccomandazioni per promuovere la conoscenza, per integrare l’azione già intensificata dell’Unione europea attraverso il piano d’azione dell’Ue per l’inquinamento zero, il piano d’azione per l’economia circolare (compresa la strategia per la plastica), la direttiva quadro sulla strategia per l’ambiente marino e la direttiva sulla plastica monouso .
Ma nonostante queste misure, i dati dimostrano che «La produzione di rifiuti di plastica sta crescendo più rapidamente della crescita economica. Il continuo aumento della produzione di rifiuti di plastica esercita ancora troppa pressione sulle coste e sui mari europei». Inoltre l’EEA sottolinea che «L’Unione europea non è attualmente sulla buona strada per raggiungere i suoi obiettivi politici di ridurre significativamente i rifiuti nella transizione a un’economia circolare, che mira a ridurre in modo massiccio la quantità di plastica e imballaggi che vengono attualmente gettati via».
Rispetto alkle buone intenzioni politiche, le cifre sono impietose: «Tra il 2011 e il 2020, i rifiuti di plastica prodotti pro capite nei 27 Stati membri dell’Ue sono aumentati del 22%, così come la quantità di rifiuti di plastica mal gestiti. La maggior parte degli articoli in plastica usati e scartati viene riciclata, incenerita o immagazzinata in strutture per i rifiuti, ma a causa dei limiti nella capacità di gestione dei rifiuti, una parte si fa ancora strada nei nostri mari e oceani, rendendola la principale fonte di rifiuti marini. Questi rifiuti non raccolti vengono portati sulle nostre coste attraverso i numerosi fiumi europei. Il risultato è che il 75% delle aree marine valutate è inquinato. Questo è un problema enorme a causa dell’impatto della plastica sulla vita marina e sulla salute umana attraverso la catena alimentare. In alcuni casi, la natura persistente della plastica significa che può durare fino a 500 anni nell’ambiente».
L’EEA sottolinea che «Per raggiungere gli obiettivi ecologici dell’Europa, e in particolare gli obiettivi di prevenzione, riduzione e gestione dei rifiuti, è necessaria una piena comprensione dei rifiuti marini, dalla fonte al mare. Dobbiamo anche separare la produzione di rifiuti dalla crescita economica».
In Europa gli sforzi per migliorare la raccolta e la gestione dei rifiuti hanno fatto progressi per quanto riguarda la riduzione della quota di rifiuti di piccoli articoli in plastica non da imballaggio (PPSI) mal gestiti. Per trovare soluzioni, la legislazione dell’Ue sta passando a un approccio più integrato basato sul monitoraggio che però, secondo il report «Potrebbe essere supportato da una migliore raccolta e analisi dei dati su terreni e fiumi. La maggior parte dei rifiuti marini viene generata sulla terraferma e l’affidabilità dei dati sulla gestione dei rifiuti è limitata e i rifiuti di plastica trasportati attraverso i fiumi rimangono poco studiati».
Le raccomandazioni EEA si concentrano su un migliore utilizzo delle fonti di dati esistenti ed emergenti per monitorare meglio le aree problematiche , che possono aiutare a sviluppare misure mirate. Anche le pulizie volontarie vecchio stile e il monitoraggio fisico da parte di citizen scientists sono preziosi, ma la tecnologia svolge un ruolo sempre più importante: «Il telerilevamento tramite satelliti, aerei, droni e intelligenza artificiale può aiutare a dare un senso ai “big data” raccolti – conclude l’EEA – I modelli di stima delle perdite di rifiuti e dei rifiuti fluviali sono tanto importanti quanto le attività di raccolta e monitoraggio minuti. L’uso di questi strumenti è necessario per guidare il processo decisionale politico nei paesi e nelle comunità che affrontano i maggiori problemi di cattiva gestione dei rifiuti».
L’articolo Dalla sorgente al mare: la storia non raccontata dei rifiuti marini sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.