Dal terzo incontro di Economia sotto l’ombrellone 2023 in corso a Lignano Sabbiadoro si è occupato di “Le agroenergie: occasioni, difficoltà e prospettive per le aziende agricole” e ne è emerso che «Dalle agroenergie, dal fotovoltaico e dall’agrivoltaico arriverà un aiuto decisivo al futuro energetico e dell’agricoltura nazionale. In Italia, infatti, ci sono tutti i presupposti per raggiungere la neutralità carbonica prevista dalle norme europee entro il 2050, aumentando la produzione di energia da fotovoltaico (e dal nascente agrivoltaico) e da biomasse. A tal fine basterebbe destinare a fini energetici circa il 5% dei terreni attualmente coltivati e ciò non avrebbe alcun significativo impatto sulla produzione alimentare nazionale. L’utilizzo delle agroenergie e del fotovoltaico potrebbero anche rendere conveniente agli agricoltori recuperare una parte degli oltre 3,5 milioni di ettari (su circa 16milioni totali) teoricamente coltivabili, ma che oggi sono incolti e abbandonati».

Secondo i relatori, Philip Turn Valsassina, presidente di Confagricoltura Friuli Venezia Giulia, Marco Tam, presidente del Gruppo Greenway, ed Eros Miani, fondatore e presidente di Fototherm, «Le tecnologie e le capacità finanziarie ci sono, ma serve una maggiore chiarezza e stabilità normativa e meno burocrazia. Oggi, infatti, gli incrementi produttivi delle energie verdi (compreso anche l’eolico) sono rallentati da norme poco chiare, incentivi altalenanti e scadenze dei bandi impossibili da rispettare a causa di una burocrazia e un percorso autorizzativo elefantiaci».

Per Miani, «La tecnologia più promettente, ma ancora in fase di sviluppo è l’agrivoltaico, che consente di installare sui campi agricoli pannelli fotovoltaici verticali. Si tratta di una tecnologia innovativa che permette di rendere compatibili su uno stesso terreno le coltivazioni agricole e la produzione di energia, avendo, comunque, una resa paragonabile a quella dei panelli messi a terra o installati sui tetti. Anche i pannelli fotovoltaici tradizionali, così come gli impianti a biomasse per la produzione di biogas e biometano e l’eolico possono, comunque, costituire un’ottima opportunità per uno sfruttamento a fini energetici dei terrenti agricoli. In Friuli Venezia Giulia in particolare, basterebbe destinare circa 5mila ettari a fini energetici (circa il 2/3 % del totale dei terreni coltivabili) per raggiungere l’obiettivo della totale decarbonizzazione al 2050 come previsto dagli obiettivi europei. Il problema oggi non sono le tecnologie che sono ampiamente disponibili, con rese in continuo miglioramento e a prezzi calanti, ma l’incertezza normativa, le scadenze dei bandi troppo ravvicinate rispetto ai tempi di realizzazione medi degli impianti e una burocrazia ancora molto lenta e pesante, soprattutto nel nostro Paese».

Anche per Tam, «Il problema principale per tutte le produzioni energetiche rinnovabili non sono le tecnologie, ma le pastoie burocratiche e l’incertezza normativa. Un esempio viene dalle previsioni del 40% di finanziamenti a fondo perduto per gli impianti di biometano (che vuol dire associare a un impianto a biomasse una “mini raffineria” che consenta di estrarre il biometano) per i quali è stato previsto che gli impianti debbano essere completati entro il 2026, il che, considerato che un impianto richiede un investimento di almeno 3 milioni di euro (al netto del finanziamento) e tempi di partecipazione ai bandi, autorizzativi e costruttivi decisamente lunghi, è un’impresa quasi impossibile da portare a termine. Tutto ciò è un gran peccato, considerato che l’Italia sarebbe tranquillamente in grado di raggiungere con il biometano una produzione pari al 30% di tutto il gas utilizzato in Italia. Ciò sarebbe anche un passaggio fondamentale per la produzione di idrogeno verde che sarà, in realtà, la vera energia del futuro sia per la propulsione dei motori termici, sia per caricare le batterie fuellcell per la mobilità elettrica. Serve, quindi, urgentemente una revisioni delle tempistiche previste e una semplificazione delle procedure autorizzative».

Valsassina ha sottolineato che «Le tecnologie a disposizione per la produzione di energia “verde” sono in continua evoluzione e il mix energetico fra fotovoltaico, biomasse, eolico e idroelettrico, potrà sicuramente permettere di raggiungere gli obiettivi al 2050. La vera sfida, oggi, per poterci liberare completamente dalla produzione di energia da combustibili fossili sta nel rendere stabili, o accumulabili, le produzioni delle energie rinnovabili che, a differenza di una centrale elettrica a gas, petrolio, carbone o nucleare, sono soggette ad andamenti della produzione altalenanti essendo legati a fonti instabili come il sole, il vento, la produzione agricola, l’acqua. Per gli agricoltori, comunque, le energie rinnovabili rappresentano grandi alleati, soprattutto se concepite in un mix vario. Un esempio nella nostra regione è venuto quest’anno dagli impianti a biomasse che hanno potuto utilizzare (e pagare agli agricoltori) la grande massa di coltivazioni danneggiate irreparabilmente dalle violente grandinate di qualche settimana fa e che erano diventate invendibili sui normali mercati agricoli. Un altro esempio, soprattutto per certi tipi di produzioni, può arrivare dal promettente sviluppo, anche se ancora in fase iniziale, dell’agrivoltaico, che potrebbe permettere di coniugare produzione agricola e produzione energetica».

L’incontro di Lignano Sabbiadoro si è concluso con uno sguardo al futuro dell’agricoltura italiana nei prossimi 20 – 30 anni e tutti e tre i relatori sostengono che «Oltre ai cambiamenti indotti dall’utilizzo dei campi a fini energetici, ci saranno grandi trasformazioni conseguenti all’avanzamento tecnologico e informatico con l’utilizzo di satelliti e droni per il controllo e la gestione dei campi, di robot per svolgere attività che oggi sono ancora prevalentemente manuali, di sistemi di micro-irrigazione e di mezzi meccanici sempre più efficienti, che porteranno a una diminuzione nelle aziende agricole del personale despecializzato e a una contestuale assunzione di un numero crescente di tecnici specializzati e laureati. Al contempo, si assisterà a un crescere della dimensione media delle aziende agricole, soprattutto se dedicate alla produzione di seminativi e a una specializzazione delle piccole aziende su prodotti ad alta resa e che non necessitano di grandi estensioni (ad esempio i piccoli frutti e le produzioni orticole) o su colture di nicchia, ma redditizie come le coltivazioni biologiche».

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