Il 25 settembre, su ordine della Procura della Repubblica di Livorno, il personale della Capitaneria di porto – Guardia Costiera, di Portoferraio aveva posto sotto sequestro, circa 9.000 m2 all’interno di un cantiere navale nel Comune di Portoferraio sui quali, secondo l’accusa «In tre distinte aree, sono stati rinvenuti rifiuti di vario genere per un volume complessivo di circa 6.000 m3».

Ma il 18 ottobre il Tribunale di Livorno ha annullato tutto accogliendo la riuchiesta di riesame avanzata dagli accusati e ha disposto la revoca del sequestro preventivo di un capannone di circa 710 m2; un’area scoperta di circa 545 m2 dove c’è una vasca di raccolta contenente fanghi e detriti; un’area scoperta di circa 7.600 m2 presso l’Esaom Cesa spa di Portoferraio.

Nel verbale del sequestro preventivo si leggeva che il 20 settembre erano stati rinvenuti «Una vasta area scoperta e un capannone (denominato dalla ditta “SEICO”) ove rispettivamente sono depositati, in maniera incontrollata, rifiuti inerti e di tipo ferroso, nonché di altra natura, pericolosi e tossici».

Inoltre, la Capitaneria di Porto rilevava  che nel capannone erano presenti «Rifiuti di vario genere e natura (pericolosi, non pericolosi, nocivi e tossici) provenienti dall’attività di cantieristica navale della Soc. “Esaom Cesa S.p.a.”; che nella vasca di raccolta erano presenti fanghi (cd,. Boiacca) e detriti presumibilmente derivanti dall’attività di escavo eseguita dalla società in occasione dei lavori di ampliamento e ammodernamento della vasca c.d. “travel lift” eseguiti nel corso dell’anno 2022, che nell’area esterna scoperta si trovavano cumuli di diverse dimensioni costituti da rifiuti inerti e ferrosi anche quest’ultimi presumibilmente derivanti dalle attività di escavo di cui sopra»-

La sentenza del tribunale di Livorno rileva che «Nel caso di specie l’indagine si è limitata alla descrizione visiva dello stato dei luoghi; di altro non si dispone se non delle foto scattate al momento del sopralluogo e delle poche parole scritte nel verbale di sequestro già sopra riportate. Non è stato acquisito alcun elemento utile a stabilire se tutto il materiale presente  all’interno e all’esterno del capannone sia da considerare rifiuto, né, nel caso, a determinarne la quantità, non apprezzabile se non con estrema approssimazione sulla sola base delle fotografie dello stato dei luoghi. Le immagini, peraltro, convincono della ragionevole possibilità che parte del materiale depositato in modo certamente confuso all’interno dell’edificio denominato “SEICO” non fosse destinato a disfattura, mentre dimostranocon sufficiente evidenza che non tutta l’area esterna del capannone, estesa circa 7.600 mq, è occupata dai cumuli di inerti e materiali ferrosi che appaiono anzi concentrati in una limitata frazione del terreno».

Il 6 ottobre, l’amministratore di Esaom Cesa Umberto Buzzoni e il responsabile della sede produttiva Stefano Burroni hanno chiesto il riesame e l’annullamento del sequestro adducendo una serie di motivazioni in gran parte accolte nella sentenza del Tribunale di Livorno, secondo la quale,  «Tali circostanze, unite alla considerazione del fatto che le porzioni immobiliari interessate dal deposito di rifiuti fanno parte dello stabilimento produttivo e che non è minimamento nota l’epoca dell’accumulo, rendono allo stato impossibile riconoscere in concreto il fumus del reato di cui all’art. 256 c, 3 del D.Lgs. 152/2006, ricordando, a tal fine, che la configurabilità del reato di realizzazione o gestione di discarica non autorizzata richiede il riscontro di un accumulo ripetuto di rifiuti in una determinata area e la sua trasformazione di fatto in un deposito o ricettacolo con tendenziale carattere di definitività, in considerazione delle quantità considerevoli degli stessi e dello spazio occupato, con conseguente degrado, anche solo tendenziale, dello stato dei luoghi».

Invece, in questo caso. «In mancanza della caratterizzazione dei rifiuti, della misurazione del loro volume e delle superfici occupate, nonché di accertamenti relativi all’epoca del loro accumulo, nemmeno si dispone, allo stato, delle evidenze necessarie a concludere che vi sia il fumus del diverso reato di deposito incontrollato, ossia di un’attività di gestione dei rifiuti da parte del produttore che violi ed ecceda i parametri di cui all’art, 183 lett. bb) del D.Lgs 152/2006».

Per questo, il Tribunale di Livorno  «Accoglie il ricorso per riesame e per l’effetto revoca il decreto di convalidae di contestuale sequestropreventivo emesso dal G.i.p. presso il Tribunale di Livorno il 25.9.2023 nei confronti di  Buzzoni Umberto e Turoni Fabio, disponendo che i beni sequestrati siano restituiti nella loro disponibilità».

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