Con due distinti decreti, disponibili qui e qui, nei giorni scorsi il ministero della Transizione ecologica (Mite) ha approvato rispettivamente la Strategia nazionale per l’economia circolare e il Programma nazionale per la gestione dei rifiuti (Pngr), quest’ultimo con valenza per gli anni dal 2022 al 2028, quando dovrà essere aggiornato nuovamente.
Complessivamente, questi due atti forniscono un quadro di riferimento di primaria importanza per la transizione ecologica del Paese, concludendo un percorso che – almeno nel caso della Strategia – è iniziato ormai un quinquennio fa.
Era infatti il 2017 quando l’allora ministero dell’Ambiente pubblicava il documento Verso un modello di economia circolare per l’Italia. Documento di inquadramento e di posizionamento strategico, ovvero la prima bozza della Strategia che rappresenta oggi un documento programmatico con cui «si intende, in particolare, definire i nuovi strumenti amministrativi e fiscali per potenziare il mercato delle materie prime seconde, affinché siano competitive in termini di disponibilità, prestazioni e costi rispetto alle materie prime vergini. A tal fine, la Strategia agisce sulla catena di acquisto dei materiali (Criteri Ambientali Minimi per gli acquisti verdi nella Pubblica Amministrazione), sui criteri per la cessazione della qualifica di rifiuto (End of Waste), sulla responsabilità estesa del produttore e sul ruolo del consumatore, sulla diffusione di pratiche di condivisione e di “prodotto come servizio”. La Strategia, inoltre, costituisce uno strumento fondamentale per il raggiungimento degli obiettivi di neutralità climatica e definisce una roadmap di azioni e di target misurabili da qui al 2035».
Non a caso anche secondo la strategia europea del Green deal, l’economia circolare servirà a superare circa il 50% del “gap” che ci separa dal raggiungimento dell’obiettivo di temperatura di 1,5 °C. Il perché è semplice: basti osservare alcune delle principali filiere industriali per evidenziare che la produzione di acciaio da riciclo del rottame di ferro consente di risparmiare fino al 38% delle emissioni di gas serra; nel caso del riciclo dell’alluminio si arriva fino a -80% rispetto all’impiego di materie prime vergini, e in quello della plastica si tocca il -90%.
Ma come si misura concretamente il grado di circolarità dell’economia, che oggi per l’Italia è stimato al 21,6%? La chiave sta nel concetto di Life cycle assessment (Lca) e nel considerare dunque tutte le fasi chiave della vita di un prodotto o servizio: acquisto, produzione, logistica, vendita, uso e fine vita: l’Lca rappresenta, secondo la Strategia approvata dal Mite, «uno strumento di grande supporto alla sostenibilità dei prodotti e all’economia circolare, poiché permette di confrontare strategie diverse e scegliere le soluzioni più vantaggiose per attuare una politica aziendale fortemente improntata al rispetto della sostenibilità ambientale».
In quest’ottica, è evidente che la gestione dei rifiuti non esaurisce in sé le politiche per l’economia circolare, ma ne rappresenta comunque una parte fondamentale: è qui che s’inserisce il varo del Pngr, approvato – come la Strategia – a valle di una fase di consultazione pubblica.
Seguendo quanto indicato nell’ultimo pacchetto normativo Ue sull’economia circolare, il Programma si concentra prevalentemente sulla gestione dei rifiuti urbani (sebbene gli speciali siano oltre il quintuplo), ovvero quella frazione che ricade direttamente nell’ambito della privativa comunale (ma anche gli impianti per la gestione dei rifiuti speciali sono approvati o meno dall’autorità pubblica preposta, in genere le Regioni).
Obiettivo principe del Pngr è quello di indirizzare e supportare la pianificazione regionale della gestione dei rifiuti, assicurandone la corrispondenza ai dettami comunitari, con tabella di marcia stringenti; ad esempio quelle Regioni – la quasi totalità – che smaltiscono in discarica più del 10% dei rifiuti urbani, ovvero la quota massima individuata dall’Ue per il 2035, dovranno garantire target intermedi di riduzione al 2023, 2024, 2026 e 2028.
Più nel dettaglio, una volta approvati i Piani regionali di gestione rifiuti dovranno essere comunicati al Mite, che ha già elaborato una check-list di controllo, specificando che «la rispondenza dei piani regionali alla normativa comunitaria costituisce condizione abilitante per l’accesso ai fondi comunitari e di coesione nazionale»; al contempo anche la piattaforma informativa Monitor Piani sarà rafforzata per costituire una linea guida digitale a supporto della pianificazione regionale.
Il Pngr offre anche indicazioni di dettaglio sulle forme di gestione più sostenibile per le frazioni di rifiuti particolarmente critiche, a partire dalla plastica. Il Pnrg afferma nel merito che il 95% della plastica da raccolta differenziata, ma che solo il 48,7% degli imballaggi in plastica è riciclato (e in base alla nuova metodologia di calcolo ci fermeremmo al 41,1%), sottolineando che una quota consistente del rifiuto prodotto dal pretrattamento della raccolta differenziata presso le piattaforme di selezione «è costituita da plasmix (oltre il 40%), attualmente destinato a smaltimento o a recupero di energia».
Che fare dunque? «Gli scarti di selezione (plasmix) trovano scarso utilizzo ai fini del riciclaggio meccanico, per mancanza di tecnologie adeguate (con eccezioni, in Toscana ad esempio Revet ricicla almeno la componente poliolefinica del plasmix, ndr). Sviluppare e realizzare impianti con nuove tecnologie di riciclaggio delle frazioni di scarto (ad esempio, mediante processi di riciclaggio chimico per le frazioni non riciclabili meccanicamente e quindi destinate a discarica o termovalorizzazione)».
Più in generale, il Pngr indica la necessità di «adottare a livello regionale pianificazioni basate su una attenta quantificazione dei flussi dei rifiuti, per tutte le tipologie di rifiuto, mediante l’applicazione della analisi dei flussi», termine col quale s’intende «la descrizione, per ogni frazione merceologica dei rifiuti urbani e per ogni flusso di rifiuti speciali, delle quantità che in un dato periodo di tempo (usualmente per l’anno di gestione prescelto) sono avviate a raccolta e alle successive operazioni di gestione, espresse come tonnellate per anno».
L’analisi dei flussi di produzione e gestione dei rifiuti diviene quindi l’elemento ex-ante da cui prende avvio la pianificazione regionale, alla quale applicare l’analisi Lca: un’applicazione, quest’ultima, ritenta «importante ed altamente auspicata» ma non obbligatoria, in quanto «potrebbe non essere possibile in tutte le realtà regionali a causa della limitata disponibilità della base informativa».
Resta comunque il dato di fondo: «L’applicazione dell’analisi dei flussi è individuata dal Programma come elemento essenziale della pianificazione regionale con cui descrivere la situazione attuale, stimare il gap impiantistico e formulare scenari alternativi di evoluzione del sistema per tutte le tipologie di rifiuti».
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