La diversificazione dei fornitori di materie critiche è uno degli obiettivi fissati dall’Ue. Ma per invertire la rotta nel breve periodo occorre aumentare i volumi di raccolta e riciclo dei rifiuti. A cominciare dai Raee
di FRANCESCO GALLETTI*
Con il conflitto russo-ucraino abbiamo visto tutti quali sono gli effetti della dipendenza energetica e quanto questa rischia di essere pericolosa. Il tema che si pone, in particolare per l’Ue, della diversificazione degli approvvigionamenti di materie prime critiche da Paesi terzi è sottostante allo sviluppo di quelle tecnologie trasformative che muovono la duplice transizione digitale ed ecologica in atto. Molte di quelle produzioni che oggi in Italia vedono un utilizzo di queste materie sono semilavorati che il nostro Paese importa. Il loro impatto è importante, considerato che l’equivalente del 38 per cento del Pil italiano è collegato a produzioni che incorporano questo tipo di materie. Se a livello industriale vogliamo salire nella catena del valore l’Europa, e dunque anche l’Italia, dovrebbero aumentare le proprie capacità estrattive, di raffinazione e di riciclo.
Gli obiettivi fissati dalla Commissione Europea con il Critical Raw Materials Act vanno in questa direzione: entro il 2030 diversificazione delle forniture, con non più del 65 per cento di una materia che deve provenire da un singolo Paese; aumento del valore del riciclo portandone il tasso al 15 per cento; tassi di raffinazione ed estrazione rispettivamente al 40 e al 10 per cento.
Il nuovo target del volume di riciclo è raggiungibile ma solo se si realizzano e mettono in funzione gli impianti giusti. E qui entra in gioco il ruolo dell’economia circolare, il cui contributo in Italia, ad oggi, resta ancora in potenza secondo una duplice lettura. Da un lato il tasso di raccolta dei Raee è intorno al 37 per cento, quindi la metà dell’obiettivo del 65 per cento fissato al 2030 dall’Ue. Questo tasso si può alzare in due modi. Da una parte contrastando quei flussi paralleli che portano poi o all’abbandono in discarica o all’immissione del rifiuto in canali non regolari. Dall’altro facendo maturare l’enorme potenziale che finora è rimasto inespresso. Nei prossimi anni dismetteremo un gran numero di materiali elettronici, non ultimi i pannelli fotovoltaici installati intorno al 2010-2011 meno efficienti rispetto agli standard attuali e che, pertanto, possono essere oggetto di revamping. Ci sono già oggi anche in Italia alcuni casi pilota di aziende che stanno creando delle collaborazioni di filiera per recuperare parte di questi materiali e sfruttarli all’interno delle loro produzioni.
Ci sono poi quei prodotti elettronici che un po’ per dimenticanza e un po’ per pigrizia, teniamo in casa per anni, come i vecchi telefonini. Se si intercettano queste due fonti di risorse, l’economia circolare può offrire un vantaggio incredibile, ovvero ridare valore a dei prodotti che abbiamo già disponibili perché li abbiamo acquistati, usati e ora non li utilizziamo più.
L’altro canale da seguire è far crescere il numero di impianti di idrometallurgia che servono per recuperare efficacemente tutte le materie prime critiche concentrate in questi prodotti. Oggi in Italia smontiamo i prodotti tecnologici ma l’ultimo pezzo della loro valorizzazione viene fatto in Germania e in Nord Europa, dove ci sono impianti più performanti.
Nell’insieme su questi canali possiamo intervenire da subito per potenziarli. Viceversa, la diversificazione delle forniture da Paesi terzi è oggettivamente un tema molto più complesso. Portare a non oltre il 65 per cento la dipendenza per una materia prima critica da un Paese, laddove per alcune di queste si arriva a superare il 90 per cento, non è semplice. Sul fronte dell’aumento della raccolta dei Raee e dell’aumento degli impianti di riciclo, invece, possiamo agire più rapidamente. Ma deve farlo tutta l’Ue unita. Siamo di fronte a una sfida europea. Non è possibile pensare a delle vie esclusivamente nazionali.
* senior consultant The European House Ambrosetti
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