Secondo Legambiente, «Dopo 11 anni dal sequestro dell’area a caldo e numerosi decreti per garantire la produzione dell’acciaio, se possibile, la situazione dell’acciaieria più grande d’Europa è peggiorata. Non si è riusciti a tutelare né salute, né ambiente, né lavoro: pende il giudizio della Corte di Giustizia Europea, manca la valutazione preventiva dell’impatto sanitario atteso per lo stabilimento siderurgico, gli interventi del piano ambientale AIA non sono stati conclusi; si attende la decisione del Tar sulla fornitura di gas all’impianto; intanto la produzione è scesa ai minimi storici (3,5 milioni di tonnellate), migliaia di lavoratori sono in cassa integrazione (su 8.200 dipendenti non collocati in amministrazione straordinaria ben 2.500 sono stati cassintegrati), senza dimenticare i rischi legati alla scarsa manutenzione degli impianti e le conseguenze della confusione sull’assetto societario».

Per questo, il presidente nazionale di Legambiente, Stefano Ciafani, dice che «E’ incredibile che il Governo oggi si sia limitato ad assicurare che lo stabilimento di Taranto non chiuderà a fronte di un contesto critico che meriterebbe scelte immediate e interventi innovativi in linea con le richieste degli abitanti e dei lavoratori di Taranto, sulla scia di quanto già in corso in Nord Europa. Non c’è più tempo da perdere per costruire un futuro pulito per la siderurgia che può e deve partire da Taranto attraverso un piano di politica industriale orientato alla decarbonizzazione e innovazione dei processi produttivi».

Anche i sindacati hanno definito disastroso l’incontro con il governo. Il  segretario generale della Uilm Rocco Palombella ha detto che «Il vertice è andato malissimo anche rispetto alle minime aspettative che avevamo. Abbiamo ricevuto risposte talmente preoccupanti che ovviamente ci hanno lasciato con più dell’amaro in bocca».  Michele De Palma, segretario generale Fiom-Cgil  ha aggiunto che «ArcelorMittal non può tenere in ostaggio i lavoratori di Acciaierie d’Italia, dell’indotto, di Ilva in AS, i cittadini e il Governo italiano. Il 23 novembre si riunirà il consiglio di amministrazione di Acciaierie D’Italia, in quell’occasione si rischia di assistere ad un film già visto: non avremo risposte sul piano industriale, occupazionale e ambientale, ma continueremo a sentir parlare solo di cassa integrazione. E’ per una questione di dignità, che abbiamo deciso unitariamente 8 ore di sciopero nazionale, con iniziative articolate, entro il 23 novembre, perché vogliamo aprire una trattativa vera, che ad oggi non c’è. Chiediamo una presa di posizione da parte del Governo. Lo Stato italiano deve decidere se sta con i lavoratori e con l’industria dell’acciaio o con una multinazionale che ad oggi non sta garantendo il rispetto degli accordi, a partire da quello del 2018, delle Istituzioni e dei lavoratori e sta utilizzando la cassa integrazione come regolatore finanziario. E’ ora di dire basta, si deve aprire una contrattazione vera tra Governo, azienda e sindacati. La mobilitazione e lo sciopero sono gli unici strumenti affinché i lavoratori possano ottenere garanzie di un piano industriale, di un rilancio dell’occupazione, di investimenti per gli impianti, per la salute e la sicurezza e le tutele ambientali».

Per l’Unione sindacale di base (Usb), «Il tavolo che si è svolto quest’oggi presso Palazzo Chigi non ha per l’ennesima volta visto la presenza di Ministri. Una discussione pressoché inutile, perché non ha dato alcun elemento di concretezza e novità sul “Memorandum di impegno” discusso con Arcelor Mittal dal Ministro Fitto. Abbiamo ribadito che di questo vogliamo conoscerne i contenuti, capirne il perimetro industriale e le garanzie. Ma su questo non è stato possibile sviluppare nessuna discussione né avere indiscrezione alcuna. L’unica cosa che emerge e che il Governo sta attendendo, è che la multinazionale dica se vuole metterci i soldi.  Clamoroso il punto a cui siamo. Il Governo prende ordini dalla multinazionale e ne subisce i ricatti, ne è quindi suddito. Abbiamo detto al tavolo che non è accettabile che si stia svolgendo una trattativa priva di confronto con le organizzazioni sindacali.  Se il Governo vuole buttare altri soldi pubblici nel pozzo senza fondo chiamato ArcelorMittal deve assumersene la responsabilità. Per USB, la strada da percorrere è molto chiara ed è sempre quella: lo Stato deve nazionalizzare, assumere il controllo degli stabilimenti per rilanciare la produzione e garantire la transizione ecologica e la decarbonizzazione. Taranto, Genova e gli altri siti attendono risposte, i lavoratori diretti, quelli di Ilva in AS e dell’appalto attendono risposte che non arrivano mai e sono per questo esasperati. Con queste motivazioni, è necessario dare subito un segnale forte di dissenso: proclamiamo 8 ore di sciopero, che dovranno essere caratterizzate da iniziative di mobilitazione da svolgersi in tutti i siti del gruppo».

Proprio sui temi saldamente intrecciati tra loro della salute, della decarbonizzazione e della tutela dei lavoratori, il 17 novembre Legambiente organizza a Taranto, il convegno nazionale “L’acciaio oltre il carbone. Nuovi orizzonti a tutela della salute, dell’ambiente e del lavoro”, al quale hanno già assicurato la partecipazione docenti universitari, ricercatori, esperti, esponenti di aziende italiane ed europee del settore, rappresentanti delle forze sociali, delle istituzioni nazionali ed europee e che, suddiviso in tre sezioni, si svolgerà per un’intera giornata presso l’Aula magna dell’Istituto Pacinotti”.

Il convegno comincerà alle ore 9 e si articolerà in tre sessioni: la prima – “Decarbonizzare la siderurgia” – si svolgerà la mattina; la seconda – “Decarbonizzazione e salute” – e la terza – “Decarbonizzazione e lavoro” – si svolgeranno nel pomeriggio, a partire dalle ore 14.45.

L’articolo Ex Ilva di Taranto: il vertice a Palazzo Chigi è andato malissimo. I sindacati indicono lo sciopero sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.