Una sala gremita di persone, alla Vela di Avane, ha accolto stamani la prima edizione del Forum energia di Legambiente Toscana, realizzata quest’anno in collaborazione col Comune di Empoli: un appuntamento che ha dato l’occasione a istituzioni, enti del terzo settore, sindacati e imprese – nonché ai molti cittadini che affollavano la Vela – di fare il punto sulla necessità imprescindibile di portare avanti la transizione energetica sui terrori, dandogli corpo attraverso l’installazione di nuovi impianti rinnovabili.

Non si tratta di una considerazione banale. Perché le rinnovabili in teoria piacciono a tutti, ma solo pochi le conoscono davvero e quando si affaccia l’ipotesi di realizzare un impianto nel vicinato a prevalere è troppo spesso la paura e dunque il rifiuto. Succede in tutta Italia, dove dovremmo installare circa 10 GW di impianti l’anno per rispettare i target europei, mentre nei primi 10 mesi del 2022 siamo arrivati appena a +2,3 (in compenso l’elettricità da carbone è cresciuta del 56% in un anno). Ma succede soprattutto in Toscana, recentemente valutata come la peggiore Regione d’Italia per l’installazione di nuovi impianti.

«Ci serve una politica seria in termini di efficienza energetica e dobbiamo tornare a investire sulle rinnovabili, a piccola e grande scala – riassume Katiuscia Eroe, responsabile Energia di Legambiente nazionale – Le comunità energetiche sono importanti, soprattutto dal punto di vista sociale, ma ultimamente si parla solo di queste perché sono la cosa più semplice da fare. Se vogliamo rispettare i target di decarbonizzazione servono però anche impianti rinnovabili di grande taglia: su questo fronte occorre semplificare e mettere in campo una grande operazione culturale sui territori, coinvolgendo cittadini e imprese in una sorta di co-progettazione».

In questo modo è possibile sia decarbonizzare e tagliare le bollette energetiche, sia tutelare un paesaggio già oggi a rischio a causa della crisi climatica in corso: non a caso Legambiente, Fai e Wwf hanno appena trovato un posizionamento comune sui paesaggi rinnovabili, in modo da contribuire a superare le polemiche strumentali che gravano sulle fonti pulite.

«Sulla teoria siamo tutti preparati – argomenta Fausto Ferruzza, presidente di Legambiente Toscana e responsabile Paesaggio per Legambiente nazionale, che su quel posizionamento con Fai e Wwf sta lavorando da mesi – Tra cittadini, istituzioni, comitati, c’è unanimità di consensi sulla necessità della transizione ecologica ed energetica. Eppure più ci si avvicina all’impiantistica sui territori più emergono i problemi, in tutti i campi, compreso quello dell’energia. Si devono semmai cercare impatti sostenibili per le comunità, perché chi parla di impatto zero falsifica, l’impatto zero non esiste. Occorre puntare piuttosto alla partecipazione civica delle comunità, coinvolgendole nei progetti e offrendo anche dei riscontri economici diretti al territorio, ad esempio tramite l’azionariato diffuso. C’è chi accusa Legambiente di essere un’associazione industrialista, ma per noi è un complimento perché industriarsi significa mettere il proprio lavoro e il proprio ingegno a favore del cambiamento».

Gli esempi virtuosi da cui ripartire, anche in Toscana, non mancano. A partire da quello offerto dalla geotermia: una fonte rinnovabile rappresentata dal calore della Terra, che è stato imbrigliato a fini industriali per la prima volta al mondo proprio qui, oltre due secoli fa. Oggi da quel calore si ricava una produzione di elettricità equivalente a un terzo della domanda regionale, oltre al teleriscaldamento per 9 Comuni sede d’impianto.

«Ancora oggi siamo riconosciuti come leader mondiali sul know-how necessario per la coltivazione della geotermia, che in Italia ricordo essere una risorsa mineraria di proprietà del demanio – argomenta Loredana Torsello, dirigente del Consorzio per lo sviluppo delle aree geotermiche (CoSviG) – Ma abbiamo potenzialità ancora tutte da esplorare: come CoSviG promuoviamo un modello di sviluppo locale sostenibile, con tutto ciò che questo implica. La geotermia in Italia può rappresentare uno strumento fondamentale per sostenere la transizione energetica, soprattutto affiancando la produzione di elettricità agli usi diretti del calore presente nel sottosuolo, a vantaggio di una miriade di usi termici sia a fini civili che per la valorizzazione nei processi produttivi energivori».

Eppure l’ultima centrale geotermica in Toscana (e dunque in Italia) è stata realizzata ben otto anni fa, anche se la Regione punta a raddoppiare la potenza installata (ad oggi ferma a 916 MW suddivisi in 34 centrali). In questo scenario, oltre alla tecnologia flash che da decenni caratterizza le centrali toscane con buoni profili di sostenibilità, si sta affacciando sul territorio anche la possibilità di realizzare inediti impianti pilota binari: appena prima di concludere la sua esperienza, il Governo Draghi ha dato via libera a tre progetti di questo tipo, seppur davanti alle perplessità dei Comuni interessati.

«Ogni serbatoio geotermico è diverso dall’altro, e gli impianti binari potrebbero essere una sfida tecnologica – osserva nel merito Torsello – Normalmente gli impianti binari funzionano e sono molto efficienti, oltre a permettere una diffusione più ampia sul territorio rispetto alle centrali flash dato che utilizzano fluidi a temperatura più bassa. Occorre avere un impianto in funzione per poter capire come si relaziona coi fluidi geotermici che abbiamo in Toscana, e soppesarne la competitività anche in termini di impatto ambientale. Il mondo della ricerca lavora molto bene con tecnologie sia a circuito aperto sia a circuito chiuso: per capire quali sono le soluzioni migliori per i singoli territori le tecnologie devono competere».

Come del resto spiegava già un decennio fa Roland Horne, l’allora presidente dell’International geothermal agency (Iga) e professore di Scienze della Terra alla Stanford University, “la tecnologia a vapori di flash non è obsoleta così come non è innovativa quella a ciclo binario: entrambe sono sperimentate e utilizzate nel mondo da molti anni e sono da considerarsi “environmental friendly”. L’utilizzo della tecnologia è legata al tipo di fluido e non si può decidere a priori”.

E la geotermia resta una priorità per la Regione Toscana, come confermato dall’assessora Monni: «Dalla geotermia ricaviamo già l’equivalente del 34% dei nostri consumi elettrici e vogliamo provare a raddoppiare per portare avanti la transizione energetica, anche perché la geotermia è una fonte rinnovabile continua e programmabile, assolutamente affidabile, che può offrire un modello anche per le altre fonti rinnovabili presenti in Toscana, sotto il profilo dei benefici economici diretti che devono essere garantiti ai Comuni dove vengono localizzati i vari impianti».

Perché in Toscana la geotermia è la fonte rinnovabile principe, ma vanno sviluppate anche tutte le altre. Un caso virtuoso arriva ad esempio da Piombino, che oggi ospita un parco eolico e presto vedrà anche un importante impianto agrivoltaico – dove alla produzione fotovoltaica si unirà quella di ortaggi, uva, mele, olive –, entrambi migliorati grazie al ruolo proattivo esercitato da Legambiente Val di Cornia, nonostante il Comune abbia espresso contrarietà ad entrambi gli impianti come da classica sindrome Nimto (non nel mio mandato elettorale).

«È difficile installare impianti di ogni tipo – chiosa Monni – ma né la transizione energetica né quella ecologica si possono fare senza impianti. Non solo l’energia, ma neanche la gestione rifiuti si fa a mano. Ma gli impianti diventa impossibile farli se non ci assumiamo questo problema come classe dirigente, tutti per il proprio pezzetto di responsabilità pubblica. Altrimenti rimarremo la regione delle discariche e quella non ha fatto la transizione energetica, una regione che non ha sfruttato l’occasione di modernizzarsi».

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