In questi giorni gli imprenditori del lapideo esprimono forte preoccupazione perché la Cages sospenderà il ritiro della marmettola prodotta dalle segherie e chiedono un intervento della Regione, mediato dal Comune, per risolvere il problema. Stessa preoccupazione e stessa richiesta sono espresse anche dalla Fillea.
Sintesi del problema
In sintesi, la marmettola (circa 170.000 tonnellate annue) viene ritirata dalla Cages che la vende per il 70-80% circa alla Venator, azienda che la adopera per desolforare gli effluenti del processo produttivo del biossido di titanio, trasformandola in un nuovo rifiuto: i cosiddetti “gessi rossi” (ogni kg di biossido di titanio ne richiede 3,8 di marmettola e ne produce 6-7 di gessi) con i quali la stessa Venator ha quasi esaurito il riempimento della ex cava di Montioni a Scarlino.
Per questo motivo, la Venator, che ha un lungo contenzioso con la Regione a causa della sua renitenza a ottemperare a una serie di prescrizioni necessarie per utilizzare in discarica quello che, a tutti gli effetti, è un rifiuto speciale, ha ridotto la produzione da 3 linee a 1 e non necessita più di marmettola. A cascata, la Cages annuncia che non ritirerà più marmettola dalle segherie e agita il ricatto occupazionale come la Venator e gli imprenditori del lapideo.
Alcune riflessioni
Questa vicenda merita alcune riflessioni. In primo luogo chi produce rifiuti ha l’obbligo di provvedere al loro corretto smaltimento. È inammissibile pertanto che il responsabile lapideo di Confindustria, Santucci, chieda l’intervento della Regione affinché individui un sito di stoccaggio temporaneo della marmettola per risolvere il problema delle imprese.
A prescindere dall’uso quanto meno improprio del termine “temporaneo” per un sito dove la marmettola dovrebbe restare almeno per due o tre anni – tempo necessario a detta di Santucci per cercare una soluzione definitiva allo smaltimento della marmettola – desta stupore che in questi mesi (ma sarebbe meglio dire anni, decenni…) gli imprenditori non siano stati in grado di trovare autonomamente alternative alla Cages.
Non si capisce, inoltre, perché per gli imprenditori del marmo debbano essere attivati tavoli e debba essere il Pubblico a trovare una soluzione allo smaltimento dei loro rifiuti, mentre per tutte le altre imprese, da quelle grandi al piccolo artigiano, ci sia l’obbligo di rispettare la legge, provvedendo in proprio allo smaltimento. Forse che Comune e Regione sono chiamati a trovare soluzioni per una falegnameria o una piccola impresa edile?
Gli imprenditori del lapideo sono una grossa realtà e hanno profitti stratosferici, proprio per questo avrebbero dovuto, già da tempo, finanziare studi e ricerche per riciclare la marmettola, possibilmente orientandosi verso una vera e propria economia circolare.
La farsa dell’economia circolare
Sentir parlare da Cages, Venator e imprese di economia circolare per la marmettola che, via Cages-Venator, va a finire (come rifiuto speciale) in discarica, sotto le mentite spoglie del ripristino ambientale, è veramente ridicolo. La marmettola, infatti, entra in un processo produttivo che per 1 kg di biossido di titanio ottenuto produce 6-7 kg di rifiuto speciale, i gessi rossi, che finiscono in discarica. Una moltiplicazione dei rifiuti! Dove è dunque la nuova materia prima da immettere nel ciclo produttivo?
È anche stravagante che Confindustria si accorga solo ora che il monopolio di Cages/Venator è “un problema” ed è sconcertante che dopo tre millenni di lavorazione del marmo il distretto apuano non abbia investito risorse per rendersi autosufficiente (e competitivo). Possibile che nessuna delle imprese, nemmeno le quotate da decine di milioni di utili annui abbia speso un euro in ricerca e sviluppo, in startup, in nuove attività di supporto alle produzioni? Qui non è più nemmeno questione di essere ambientalisti ma, più banalmente, di avere o meno una reale visione imprenditoriale.
Nessun “aiutino” pubblico
In conclusione, non siamo d’accordo su alcun deposito temporaneo di marmettola né che siano gli Enti pubblici a farsi carico del problema. Gli imprenditori si attivino, come avrebbero potuto e dovuto fare da almeno trent’anni e particolarmente in questi ultimi mesi (data l’emergenza Cages): per l’immediato trovino una discarica per la marmettola e, subito dopo, studino un ventaglio di reali riutilizzi, senza trincerarsi dietro l’ennesimo ricatto occupazionale per far piegare le Istituzioni ai loro interessi privati.
Avviso ai naviganti
Tutto il trambusto suscitato dalle segherie solleva altri interrogativi. Come mai il mancato ritiro della marmettola non preoccupa le cave? Conferiscono la marmettola ad altre ditte o ne trovano una più speditiva “collocazione alternativa” al monte?
A proposito di rifiuti lapidei da smaltire, vorremmo infine ricordare agli imprenditori le enormi quantità di terre di cava abbandonate al monte, con i conseguenti rischi per le sorgenti e per le alluvioni; terre che, in quanto rifiuti, dovrebbero essere smaltite correttamente (sempre, non solo quando si trovano commesse remunerative!).
Non vorremmo che, perdurando questa situazione di illegalità e di pericolo, le terre diventassero la prossima emergenza sulla quale pietire aiuti dagli Enti pubblici, salvo poi invocare la “libertà di impresa” e lamentarsi quando gli stessi enti esercitano legittimamente e doverosamente le proprie prerogative di governo del territorio. È opportuno dunque che gli imprenditori si attivino fin da subito per mettersi in regola e che il Comune li obblighi a prendersi le loro responsabilità.
di Legambiente Carrara e Legambiente Massa-Montignoso
L’articolo Gestione della marmettola, che fare? La posizione di Legambiente sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.