Originario delle coste americane che si affacciano sull’oceano Atlantico e presente da almeno 70 anni nel Mediterraneo – dove probabilmente è arrivato trasportato nelle acque di zavorra delle navi –, il granchio blu (Callinectes sapidus), è oggi una delle specie aliene più dannose per l’Italia.

A causa della carenza di predatori e del cambiamento climatico, che ha reso i nostri mari più idonei alla sua sopravvivenza e proliferazione, il granchio blu è infatti un pericolo crescente sia per gli ecosistemi locali sia per le attività di pesca e itticoltura.

Nei giorni scorsi due Regioni, l’Emilia-Romagna e il Veneto, hanno chiesto al Governo Meloni di attivare lo stato di emergenza nazionale proprio per affrontare il granchio blu: i primi 2,9 mln di euro stanziati allo scopo nelle scorse settimane dal ministero dell’Agricoltura non sono sufficienti.

«Dall’inizio dell’anno in Veneto sono state immesse nel mercato almeno 150 tonnellate di granchio blu – informai il presidente del Veneto, Luca Zaia – Dobbiamo essere al fianco dei pescatori, favorendo anche il consumo alimentare del granchio, per permettere che questo ‘flagello’ possa essere, almeno in parte, remunerativo per chi si ritrova con le reti da pesca piene di questi crostacei, non certo desiderati. Il tessuto economico e produttivo della nostra Regione da alcuni mesi ha saputo mettere in campo alcune risposte: sono venete le principali aziende che trasformano la polpa di questi granchi in prodotti semilavorati o finiti destinati al commercio, oltre ad aver intrapreso anche un’attività di esportazione. Dobbiamo ora sostenere questa battaglia incentivando il consumo delle pietanze e dei prodotti a base di granchio blu; un’attività di promozione che sposo in prima persona e che sta iniziando a diffondersi nel mondo della ristorazione».

Ma i quantitativi da mettere sul mercato sono assai ampi. In Emilia-Romagna, i pescatori delle sole marinerie di Goro e Comacchio – dove si producono annualmente 16 mila tonnellate di vongole, ovvero il 55% della produzione italiana e il 40% di quella europea – riportano una raccolta di 160 tonnellate di granchio blu nell’ultimo mese.

Il presidente Stefano Bonaccini e l’assessore regionale all’Agricoltura, Alessio Mammi, parlano di «un fenomeno la cui portata è ormai impressionante, come mettono in evidenza, in primo luogo, le associazioni dei pescatori. Un primo passo è stata l’autorizzazione alla cattura, al prelievo e alla commercializzazione, ma questo non basta. Questa specie sta mettendo in crisi un intero settore».

Ad oggi infatti il consumo nazionale del granchio blu sembra ancora essere piuttosto ridotto, rispetto alla necessità di affrontare l’emergenza nazionale. Tant’è che una piccola parte del pescato viene spedito verso gli Usa, mentre gran parte viene smaltito.

Per quanto riguarda l’export, è in viaggio dall’Emilia-Romagna verso le coste della Florida, destinazione Miami, il primo container, carico di 15,75 tonnellate di crostacei semilavorati.

Regista dell’operazione la società di Rimini Mariscadoras, una start up tutta al femminile, nata nel 2021 e ideatrice del progetto “Blueat – La pescheria sostenibile”, per promuovere l’utilizzo alimentare e gastronomico delle specie aliene marine invasive, a partire appunto dal granchio blu; da qui l’accordo di collaborazione dell’azienda riminese con un’azienda di trasformazione di Mestre per la lavorazione e la trasformazione dei granchi in polpa e sughi, che stanno approdando sul mercato domestico ed estero.

Ma a fronte di 15,75 ton esportate, ben maggiori sono i quantitativi di granchio blu che vengono smaltiti, aggiungendo spreco alimentare alla già critica situazione ambientale: «Le associazioni di pesca del territorio – spiegano dall’Emilia-Romagna – denunciano che oltre al “danno emergente” caratterizzato dalle spese sostenute ogni giorno per raccogliere e smaltire il più alto numero possibile di granchi blu (ovvero diverse decine di tonnellate di esemplari al giorno, avviate agli inceneritori riconosciuti), sono preoccupati in particolare per il reddito i lavoratori e i loro nuclei familiari nei prossimi 12/24 mesi, poiché tale proliferazione ha mandato in fumo tutte le semine di novellame fatte durante la primavera, oltre alle specie già pronte per la commercializzazione».

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