Larga parte della produzione industriale italiana, pari a 686 mld di euro – ovvero il 38% del Pil nazionale – dipende dall’impiego di materie prime critiche (Crm) che l’Italia non possiede, e deve dunque importare da Paesi extra-Ue.
Il dato emerge dal nuovo rapporto Le opportunità per la filiera dei Raee all’interno del Critical raw materials act, realizzato da The european house – Ambrosetti e commissionato da Erion, il principale consorzio nazionale per la gestione dei rifiuti elettrici ed elettronici (Raee), peggiorando ulteriormente un quadro già noto: un anno fa un analogo studio condotto dall’Enea affermava infatti come dalle materie prime critiche passasse il 32% del Pil nazionale.
«Per un terzo delle materie prime critiche censite l’Ue è totalmente dipendente (100%) dalle importazioni di Paesi terzi. La dipendenza, unita alla crescente domanda e alla rilevanza delle materie prime critiche in tecnologie chiave, rende vulnerabili le catene del valore», spiega Lorenzo Tavazzi di Ambrosetti.
In totale, le Crm censite dall’Ue nell’ambito del suo Critical raw materials act sono 34, di cui 29 risultano indispensabili per l’industria energetica, 28 per l’industria aerospaziale, 24 per l’elettronica, 23 per l’automotive e 19 per il settore delle energie rinnovabili.
Per rendere più sostenibile e sicura la catena del valore, l’Ue chiede che non più del 65% dei materiali importati debba provenire da un unico Paese, a fronte di uno scenario attuale che vede un’estrema concentrazione della fornitura di materie prime vritiche tra Cina (65%), Sud Africa (10%), Repubblica democratica del Congo (4%) e Stati Uniti (4%), e che entro il 2030 almeno il 15% delle Crm debba provenire dal riciclo. Proprio in questo contesto, di estrema vulnerabilità dell’Ue e dell’Italia in particolare.
Il tasso di raccolta differenziata dei rifiuti tecnologici, particolarmente ricchi di Crm, continua infatti a diminuire: nell’ultimo anno si è fermato al 34,01% – la performance peggiore in Europa dopo Portogallo, Cipro, Malta e Romania –, contro un obiettivo Ue del 65%.
Eppure, secondo lo studio Ambrosetti, se in Italia si raggiungesse il target del 65%, al 2030 si potrebbero avviare al corretto trattamento 312 mila tonnellate di Raee in più. L’aumento dei volumi raccolti e la realizzazione di impianti adeguati al loro riciclo, potrebbe portare ad un recupero di circa 17 mila tonnellate di materie prime critiche, pari al 25% di quelle importate dalla Cina nel 2021.
Ma il problema non è “solo” nella raccolta, quanto nella scarsità d’impianti industriali dove poter estrarre nuovo valore dai Raee.
«In questo contesto di incertezza e dipendenza delle importazioni dall’estero – osserva nel merito Danilo Bonato, dg di Erion – una leva strategica per ridurre il rischio di approvvigionamento può arrivare dal riciclo dei rifiuti correlati ai prodotti elettronici. Abbiamo nelle nostre case una miniera urbana che però, per varie ragioni, facciamo fatica a valorizzare. Infatti, la poca conoscenza da parte dei cittadini, gli ostacoli che quest’ultimi incontrano nell’attuare comportamenti virtuosi, il mancato contrasto ai flussi paralleli, fino a una carente rete impiantistica, fanno sì che migliaia di tonnellate di materie prime critiche e materie prime strategiche non vengano valorizzate in Italia, dirottando altrove benefici economici, occupazionali e ambientali».
Che fare, dunque? Oltre a migliorare sul fronte della raccolta, da Erion ritengono fondamentale rinnovare la dotazione impiantistica, ma anche ridurre l’incertezza normativa e le tempistiche autorizzative ancora troppo lunghe per ottenere le necessarie autorizzazioni alla realizzazione di nuovi impianti: dei circa 4,3 anni necessari in Italia per l’iter di avvio ben 2,7 sono assorbiti dalle fasi di progettazione e autorizzazione.
L’articolo Il 38% del Pil italiano passa dalle materie prime critiche, ma il loro riciclo arranca sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.