A pochi giorni dall’arrivo in città dei vertici Zero waste, Livorno ha scelto di abbandonare la rete dei Comuni Rifiuti zero cui aveva aderito alcuni anni fa.

La decisione è stata annunciata ieri da Giunta comunale e sindaco, dichiarando che la scelta «non è assolutamente collegata alle sorti dell’inceneritore, per il quale confermiamo il percorso di superamento e il patto sottoscritto nel 2019 con allegato documento da noi redatto che indicava le condizioni necessarie e imprescindibili da realizzare per arrivare allo spegnimento, condizioni che stiamo lavorando per attuare».

La scelta viene invece rivendicata a valle delle «recenti prese di posizione degli esponenti di vertice di Rifiuti zero, il presidente Ercolini in primis. Nelle ultime settimane, infatti, Rifiuti zero ha tentato in ogni modo di mettere in contrapposizione i diritti dei lavoratori con la tutela dell’ambiente, attaccando in maniera del tutto strumentale le politiche assuntive di Aamps e di Retiambiente, che rispondono pienamente agli indirizzi politici di questa amministrazione. Noi invece rivendichiamo con orgoglio il percorso avviato per la stabilizzazione e l’internalizzazione di oltre 200 lavoratori».

In realtà, nell’ottica Rifiuti zero i due temi sono collegati: perché internalizzare “nuovi” lavoratori, si chiedono i comitati, aggravando i costi di una municipalizzata che già oggi faticherebbe a chiudere i bilanci a causa dei costi legati alla gestione del termovalorizzatore cittadino?

Una lettura paradossale del contesto, che rinuncia in un sol colpo a tutte e tre le dimensioni dello sviluppo sostenibile: ambientale, perché l’impianto in questione è l’unico attivo in tutto l’Ato costa (discariche escluse) dove conferire i rifiuti non riciclabili; economica, in quanto è uno dei pochi asset di Aamps in grado di creare valore; sociale, perché l’internalizzazione porta qualità dal punto di vista occupazionale e mano d’opera necessaria a igiene urbana e raccolta differenziata.

«In questi anni – rivendicano dal Comune di Livorno – abbiamo consolidato il sistema porta a porta, abbiamo aperto il Centro del riuso, avviato la diffusione del compostaggio domestico, introdotto la tariffazione puntuale, e abbiamo individuato la strategia per superare l’impianto di incenerimento, attraverso un piano industriale innovativo e circolare che poggia anche su un finanziamento Pnrr di più di 10 milioni. Su questo fronte siamo confortati anche dalla recente illustrazione del piano regionale sui rifiuti fatta dall’assessora Monni e dagli uffici regionali ad Anci Toscana. In quel piano, tra le altre cose l’inceneritore del Picchianti è definito impianto in fase di chiusura».

Un destino che pare segnato, anche se con tempistiche al momento ignote. Nell’ambito del Piano regionale, in fase di definizione ormai dal 2018, Monni si è detta disponibile a valutarle con l’Amministrazione comunale; resta in ipotesi la dismissione a fine anno, ma il problema è proprio quello delle alternative impiantistiche.

I 10 mln di euro del Pnrr sono destinati a realizzare un digestore anaerobico, utilissimo per valorizzare i rifiuti organici (come Forsu e fanghi) ma che non può gestire i rifiuti secchi non riciclabili conferiti oggi al termovalorizzatore. Per questa frazione, nell’Ato costa è in ipotesi la realizzazione a Peccioli di un ossicombustore – un impianto da 90 mln di euro per gestire fino a 179mila t/a –, che si auspica pronto nel 2026 ma di cui ad ora non sono noti i dettagli progettuali.

Nel frattempo sono accantonate sia l’alternativa della piattaforma bio-energetica, sia l’ipotesi di realizzare un impianto di riciclo chimico all’interno della raffineria Eni di Stagno; una tecnologia, quello del riciclo chimico, alternativa alla termovalorizzazione e dai più elevati profili di sostenibilità – al progetto in essere a Roma sono stati destinati fondi Ue per 194 mln di euro –, ma nonostante questo avversata pretestuosamente dai Rifiuti zero ovunque siano state avanzate proposte progettuali in Toscana (in primis Empoli, ma anche Rosignano e Pontedera).

«Siamo stati alleati di Rifiuti zero su molte battaglie ambientali, che noi continueremo con entusiasmo e convinzione – concludono dal Comune di Livorno – In Italia nessuna delle grandi città, salvo Parma e Napoli (entrambe dotate di un termovalorizzatore ciascuna, ndr), fanno parte di Zero waste e a noi faceva particolarmente piacere essere nella rete virtuosa di chi ha dettato da molti anni una linea convincente sull’ambiente e sulla gestione dei rifiuti. Non è possibile però continuare a condividere un percorso con chi oltre a promuovere linea di pensiero ambientalmente virtuosa intende dettare scelte politiche, amministrative e tecniche che con responsabilità e buon senso altri sono chiamati a prendere».

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