Dopo lunga attesa è stato pubblicato in Gazzetta ufficiale il decreto End of waste per i rifiuti da costruzione e demolizione, i cosiddetti inerti, che contiene il “Regolamento che disciplina la cessazione della qualifica di rifiuto dei rifiuti inerti da costruzione e demolizione e di altri rifiuti inerti di origine minerale”.

In teoria rappresenta dunque un tassello normativo fondamentale per semplificare ed incrementare il riciclo dei rifiuti inerti. Invece, secondo l’Associazione nazionale dei produttori di aggregati riciclati (Anpar), rappresenta paradossalmente una norma che «segna il de profundis per il settore della gestione dei rifiuti inerti, che condannerà a finire in discarica circa 32 milioni di tonnellate di scarti».

L’allarme era stato sottolineato più volte negli ultimi mesi dall’associazione che riunisce i riciclatori dei rifiuti inerti, ma è rimasto inascoltato dal ministero della Transizione ecologica (oggi ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica) che ha emanato il decreto.

Ad oggi, secondo i dati Ispra circa il 78% dei rifiuti inerti viene recuperato, anche se con tutta probabilità il dato “reale” è ben più basso.  Come spiega Legambiente nel Rapporto cave 2021, il 78% riportato da Ispra «indica solamente che questi rifiuti sono passati, e quindi sono stati registrati, in un apposito impianto. Si tratta quindi di materiali recuperati ma poi stoccati senza alcun reimpiego effettivo. Purtroppo la verità è che gran parte dei rifiuti da C&D non è dichiarata e viene ancora oggi abbandonata illegalmente sul territorio. Anche perché nelle statistiche ufficiali solo le imprese di una certa dimensione vengono incluse».

Di fatto dunque una performance già oggi assai migliorabile, in termini di riciclo effettivo, sarebbe invece del tutto azzoppata del decreto End of waste.

«Tali risultati – argomentano dall’Anpar – sono minacciati dal regolamento lungamente atteso da tutta la filiera, che di fatto introduce parametri, requisiti e controlli che si traducono in una restrizione nazionale, non effettivamente giustificata da motivi di interesse pubblico legati alla tutela dell’ambiente o della salute. L’errore di fondo, immediatamente segnalato dagli operatori, è che il regolamento non opera alcuna distinzione in base agli usi a cui gli aggregati sono destinati, in contrasto con le norme di prodotto Uni che ne regolano gli impieghi. L’apertura introdotta dal ministero della Transizione ecologica con una transizione di sei mesi per la verifica dei criteri End of waste di fatto si sovrappone con il transitorio per il necessario adeguamento dei provvedimenti autorizzativi in essere, generando un intoppo normativo; se non si interverrà con un rapido chiarimento in materia, si impedirà agli impianti di proseguire la propria attività e di proseguire non solo con il recupero di questi rifiuti, ma anche con l’attività di conferimento di rifiuti inerti, qualora non conformi ai nuovi disposti normativi».

Ecco dunque perché l’Anpar ritiene necessaria una rapida valutazione degli effetti concreti del decreto, affinché siano scongiurati effetti di «forte riduzione» dei quantitativi dei rifiuti inerti effettivamente avviati al recupero: «Pesanti saranno le ricadute gestionali della norma: circa l’80% dei rifiuti inerti, oggi recuperati, dovrà trovare destino in discarica (circa 32 milioni di tonnellate di rifiuti inerti non pericolosi), senza contare l’impatto occupazionale, con migliaia di addetti che perderanno il loro impiego, e quello economico, con centinaia di milioni di fatturato persi nella filiera del riciclo».

Da qui la richiesta al ministero della «convocazione immediata di un tavolo per concertare avvio e modalità di verifica dei criteri di monitoraggio».

L’articolo Il decreto End of waste sui rifiuti inerti potrebbe bloccare del tutto il riciclo dei rifiuti inerti sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.