Dalle tartarughe marine in difficoltà impigliate negli imballaggi e dagli albatros che inavvertitamente nutrono i loro pulcini con oggetti di plastica ripuliti dall’oceano, dalle superfici di spiagge un tempo idilliache piene di sacchetti di plastica, bottiglie e altri detriti, l’inquinamento da plastica fa da sfondo ad alcune delle immagini più impressionanti del crescente impatto degli esseri umani sul mondo naturale. Gli effetti della plastica sono pervasivi, con la spazzatura che ha raggiunto alcune delle isole più remote della Terra. Tuttavia, l’inquinamento da plastica non è distribuito uniformemente in tutto il mondo e un passo fondamentale per limitarne l’impatto sulla natura è identificare dove le specie sono maggiormente a rischio di esposizione ai detriti. E’ quel che ha fatto lo studioGlobal assessment of marine plastic exposure risk for oceanic birds”, pubblicato su Nature Communications è il frutto di una partnership tra BirdLife International, università di Cambridge e British Antarctic Survey, in collaborazione con Fauna & Flora e 5 Gyres Institute ed è stato reso possibile grazie a una collaborazione con più di 200 ricercatori di tutto il mondo che si occupano  di uccelli marini e che comprendono scienziati di diverse assoiciazioni partner di BirdLife come la nostra Lipu, RSPB (UK), SEO (Spagna), SPEA (Portogallo), BirdLife Malta, BIOM (Croazia), BirdLife Norway, Nature Seychelles, Mauritian Wildlife Foundation e Birds Canada che, per identificare dove gli uccelli marini sono maggiormente a rischio di essere esposti alla plastica, ha valutato gli spostamenti di 7.137 uccelli di 77 specie di procellarie (berte, fulmari e prioni), analizzando come questi si sovrapponessero alle mappe della prevalenza della plastica negli oceani del mondo.

I ricercatori fanno notare che «E’ la prima volta che i dati di tracciamento di così tante specie vengono combinati con i dati sulla distribuzione della plastica su scala globale» e lo studio rivela che «Il Mediterraneo e il Mar Nero sono “zone a rischio” particolari, che insieme rappresentano oltre la metà del rischio di esposizione alla plastica. Il remoto alto mare e le acque circostanti gli Stati Uniti, il Giappone e il Regno Unito erano altre aree ad alto rischio, a sottolineare la portata veramente globale del problema».

La Principale autrice dello studio, Bethany Clark, seabird science officer di BirdLife International, sottolinea che «La plastica è una minaccia diffusa per la vita marina, ma l’inquinamento non è distribuito uniformemente negli oceani del mondo. Il nostro studio mostra che le procellarie sono esposte alla plastica in mari chiusi e affollati, come il Mediterraneo e nei remoti gyres in mezzo all’oceano che concentrano la plastica provenienti da fonti lontane. Tuttavia, anche le specie a basso rischio di esposizione mangiano plastica. Questo dimostra che i livelli di plastica nell’oceano sono un problema per gli uccelli marini di tutto il mondo, anche al di fuori di queste aree ad alta esposizione».

I ricercatori si sono concentrati sulle procellarie, un gruppo di uccelli marini poco studiato ma particolarmente minacciato, veri vagabondi oceanici che possono essere trovati in quasi tutti gli angoli del globo perché migrano in aree vastissime: ad esempio le bertecodacorta (Ardenna tenuirostris) percorrono ogni anno circa 30.000 km intorno al Pacifico partendo dai loro siti di riproduzione nell’Australia meridionale. L’ampiezza della loro distribuzione le  rende quindi  delle “specie sentinella” importanti per valutare le minacce che devono affrontare le specie e gli ecosistemi.

Analizzando gli spostamenti di questi uccelli marini, il team di ricercatori ha evidenziato che «La portata dell’inquinamento da plastica trascende i confini nazionali e sottolinea l’importanza della collaborazione internazionale per affrontarne gli impatti». Per quasi tutte le specie studiate, «La probabilità di incontrare plastica si verifica in gran parte al di fuori delle acque nazionali dei Paesi in cui si riproducono, mentre un quarto di tutto il rischio di esposizione alla plastica è in alto mare, che sono acque remote a 200 miglia nautiche. dalla costa e al di fuori della giurisdizione di qualsiasi Paese. Qui, l’inquinamento da plastica è strettamente legato ai gyres, che sono grandi sistemi di correnti oceaniche rotanti in cui si formano vasti accumuli di detriti di plastica».

Ana Carneiro, marine science manager di BirdLife International e coautrice corrispondente dello studio, spiega a sua volta che «C’erano grandi differenze nel rischio di esposizione alla plastica tra specie, popolazioni e stagioni, con un rischio maggiore condiviso tra le specie minacciate. Tra tutte le specie, il 25% del rischio di esposizione si è verificato in alto mare».

Ci sono prove crescenti dei pericoli della plastica r per gli uccelli marini, che spesso scambiano piccoli frammenti di plastica per cibo, rimangono impigliati neglla plastica mentre si nutrono e ingeriscono la plastica già mangiata dalle loro prede. I ricercatori ricordano che «Questo può portare a lesioni, avvelenamento e fame, con alcune materie plastiche che contengono anche sostanze chimiche tossiche dannose per gli uccelli marini. Le procellarie sono particolarmente vulnerabili, in quanto non possono facilmente rigurgitare la plastica e sono state anche viste darle inconsapevolmente da mangiare ai loro pulcini durante la stagione riproduttiva».

Secondo Jennifer Lavers dell’Esperance Tjaltjraak Native Title Aboriginal Corporation, coautrice del nuovo studio e autrice di un recente studio sulla plasticosi, una malattia scoperta in alcuni uccelli marini e legata all’ingestione di plastica, «Ci manca una comprensione completa dell’impatto della plastica sulle specie e sugli ecosistemi, ma quel che sappiamo è profondamente preoccupante. Pertanto, una conoscenza dettagliata di quando e dove gli animali marini sono maggiormente a rischio di incontrare plastica mentre sono in mare non potrebbe essere davvero opportuna».

I ricercatori hanno anche assegnato a ciascuna delle specie studiate un “punteggio di rischio di esposizione” per indicare la probabilità che incontrino la plastica durante il tempo trascorso in mare e  hanno scoperto che «Molte specie minacciate di estinzione hanno ottenuto punteggi particolarmente alti. Le specie che sono risultate particolarmente a rischio includono la berta minore delle Baleari (Puffinus mauretanicus) che frequenta anche le coste italiane, e la berta minore di Newell (Puffinus newelli), entrambe in pericolo critico di estinzione, e  la procellaria hawaiana o ʻuaʻul’ (Pterodroma sandwichensis) in pericolo di estinzione). Il team di ricerca fa notare: «Dato che questi uccelli affrontano già una serie di pressioni umane, il loro alto rischio di esposizione alla plastica è motivo di grande preoccupazione per la conservazione».

La Clark conclude: «Molti degli uccelli inclusi nel nostro studio sono già colpiti da una vasta gamma di minacce, tra cui il cambiamento climatico, la cattura con attrezzi da pesca, la concorrenza con la pesca e le specie invasive. Mentre gli effetti dell’esposizione alla plastica a livello di popolazione non sono ancora noti per la maggior parte delle specie, molte procellarie e altre specie marine si trovano già in una situazione precaria e la continua esposizione a plastiche pericolose si aggiunge a queste pressioni. Ora è necessaria un’azione coordinata per arginare il flusso di inquinamento da plastica per proteggere gli uccelli marini e altre forme di vita marina in tutto il mondo».

L’articolo Il Mediterraneo è una delle aree dove gli uccelli marini minacciati di estinzione sono più esposti alla plastica sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.