Il vaso di Pandora delle bioplastiche compostabili che non si compostano come dovrebbero, neanche all’interno degli impianti industriali che sarebbero deputati a farlo – compostaggio o biodigestione anaerobica – è stato riaperto oggi da un rapporto Greenpeace, ma a gettare per la prima volta il sasso nello stagno fu Alia, ovvero il gestore unico dei servizi d’igiene urbana nell’Ato Toscana costa.

L’effettiva valorizzazione dei rifiuti organici raccolti in modo differenziato dai cittadini risulta problematica per molti motivi, in primis la bassa qualità della differenziata. Basti pensare che, secondo i dati raccolti da Arpat, in Toscana, il compost (ammendante) in uscita dagli impianti di compostaggio è solo l’11%. Il compost fuori specifica rappresenta un altro 9%, lo scarto il 26%, le perdite di processo il 48%. Numeri che evidenziano anche l’urgente necessità, in capo in primis ai cittadini, di migliorare la qualità delle raccolte differenziate, in modo che il compost abbia poi le caratteristiche adeguate per essere impiegato in agricoltura anziché costituire un disvalore economico.

All’interno di questo contesto di per sé difficoltoso, la gestione delle bioplastiche compostabili risulta particolarmente problematica. Tanto che, già nel 2019, la partecipata pubblica Alia, ha esplicitamente chiesto ai cittadini di conferire le bioplastiche nell’indifferenziato.

Greenpeace è tornata a toccare questo tasto dolente, riportando alla luce la posizione Alia: «Nell’attesa di una filiera dedicata i manufatti in bioplastica rigida devono essere conferiti nel contenitore dell’indifferenziato. Gli attuali impianti di compostaggio sono infatti nati esclusivamente per i residui organici e gli sfalci di verde provenienti dalla raccolta differenziata. A oggi gli shopper in Mater-Bi sono le uniche bioplastiche compatibili con le condizioni dei processi di compostaggio, mentre i manufatti in bioplastica rigida si biodegradano a condizioni e tempistiche di processo diverse e comprometterebbero l’intera produzione di compost».

«Abbiamo avuto in passato alcune partite di compost fuori specifica – conferma adesso all’Unità investigativa di Greenpeace Italia l’ingegnere Alessandro Canovai, direttore operativo centrale di Alia – La normativa, infatti, ammette che il 10% del materiale compostabile possa non raggiungere l’obiettivo di essere trasformato in compost», continua Canovai. Tuttavia, anche se la normativa ammette questo limite di errore, il compost, proprio perché sarà utilizzato in agricoltura e sparso nei campi, «non può contenere alcuna impurità fisica di dimensione superiore ai 2 mm, superiori in quantità 48 allo 0,5% di sostanza secca». In caso contrario parliamo di compost contaminato e quindi fuori specifica, che andraà a termovalorizzazione o in discarica.

Se questi erano i problemi nel 2019, ad oggi però la situazione non sembra cambiata molto: «Fino a che non avremo ristrutturato gli impianti chiediamo ai cittadini di mettere la plastica compostabile rigida (si intende piatti, bicchieri, posate, etc) nell’indifferenziato», confermano da Alia a Greenpeace.

Ma non si tratta di un problema di buona volontà. Alia sta realizzando a Montespertoli il biodigestore anaerobico più grande d’Italia, la tipologia impiantistica più avanzata per valorizzare i rifiuti organici, ma paradossalmente la più esposta a difficoltà nel trattare contemporaneamente bioplastiche.

Non a caso nel 2019 il Consiglio regionale della Toscana ha approvato ieri una mozione – presentata dal capogruppo di Sì-Toscana a sinistra Tommaso Fattori ed emendata dalla vicepresidente del gruppo Pd, Monia Monni, oggi assessora regionale all’Ambiente – chiedendo che “la Regione si adoperi per individuare una soluzione definitiva al riciclaggio della bioplastica, riunendo a uno stesso tavolo i diversi attori coinvolti”, riunendo a uno stesso tavolo i soggetti gestori, le tre autorità di ambito, l’assessorato regionale, Assobioplastiche, il Consorzio nazionale per la raccolta, il riciclaggio e il recupero degli imballaggi in plastica (Corepla) e il Consorzio italiano compostatori (Cic), cui oggi sarebbe probabilmente opportuno aggiungere anche Biorepack, il consorzio per il recupero delle bioplastiche nato nel 2020. Un’iniziativa virtuosa, della quale però non sono noti gli esiti: nel mentre i problemi nella gestione delle bioplastiche continuano.

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