A valle di un primo decreto per gli incentivi sul biometano, previsto dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) e pubblicato lo scorso ottobre in Gazzetta ufficiale, con un nuovo atto del ministero dell’Ambiente – predisposto col supporto del Gse – sono arrivate anche le necessarie regole applicative per accedere agli incentivi: si parla di 1,73 miliardi di euro.
Tali regole applicative contengono gli schemi di avviso pubblico per ciascuna delle procedure previste, i modelli per le istanze di partecipazione, la documentazione da inviare per la verifica del rispetto dei requisiti, i contratti-tipo da stipulare tra il Gse e i soggetti richiedenti: la prima procedura competitiva per l’accesso agli incentivi verrà avviata già nel primo trimestre di quest’anno.
In particolare, gli incentivi previsti dal decreto verranno assegnati mediante procedure competitive pubbliche (aste a ribasso) e le domande per l’acceso al primo bando dovranno esser presentate, attraverso la sezione dedicata dall’Area clienti dal sito del Gse, dalle ore 12:00 del 30 gennaio fino alle ore 12.00 del 31 marzo 2023.
«L’impulso alla produzione di biometano – commenta il ministro Gilberto Pichetto – va nella direzione di accelerare il processo di decarbonizzazione dell’economia, contribuendo alla nostra sicurezza energetica anche con una produzione nazionale rinnovabile, legata alla forte vocazione agricola di una parte consistente del nostro territorio».
Più nel dettaglio, l’obiettivo del decreto è quello di raggiungere, entro il 31 dicembre 2023, una produzione aggiuntiva di biometano pari ad almeno 0,6 miliardi di m3 e, entro il 30 giugno 2026, una produzione aggiuntiva di biometano pari ad almeno 2,3 miliardi di m3.
Ad oggi il contributo del biometano ai consumi nazionali di gas si ferma a circa 0,7 miliardi di metri cubi annui, a fronte di una potenzialità ben più ampia: secondo il Cib (Consorzio italiano biogas) e il Cic (Consorzio italiano compostatori), con una legislazione adeguata a supporto si potrebbe arrivare a circa 8 miliardi di mc di biometano al 2030; una stima peraltro inferiore a quella prospettata da Legambiente, che indicava 10 mld di mc come potenzialità per la produzione di biometano (tra scarti agricoli e Forsu) al 2030, ma comunque di grande rilievo.
Basti osservare che col decreto sblocca trivelle, annunciato dal Governo Meloni in fase di conversione in legge del dl Aiuti ter, il ministro dell’Ambiente Fratin parla della possibilità di estrarre «una quantità di 15 miliardi di metri cubi sfruttabili nell’arco di 10 anni». Dal biometano si potrebbe ottenere 8 miliardi di mc l’anno, ovvero il quintuplo di quanto atteso dalle nuove trivellazioni, e anche dalle concessioni in essere (grazie alle quali si estraggono 3-5 mld di mc di metano fossile l’anno).
Ma la differenza non sta solo sull’energia disponibile, ma anche su diversissimi impatti dal punto di vista climatico: bruciare metano fossile accelera la crisi climatica, mentre il biometano rappresenta un carburante rinnovabile e CO2 neutrale, in quanto proveniente dalla naturale degradazione di rifiuti organici: in questo modo, la quantità di anidride carbonica liberata nell’intero processo – dal reperimento degli scarti organici alla loro combustione – viene bilanciata da quella assimilata dagli organismi viventi durante la loro crescita.
Eppure, troppe sindromi Nimby e Nimto, alimentate da informazioni fuorvianti in materia, bloccano la realizzazione degli impianti di digestione anaerobica sul territorio: un decano dell’ambientalismo italiano come Francesco Ferrante è arrivato (finora) a contare ben 183 casi del genere lungo lo Stivale.
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