Mentre in Egitto i leader mondiali litigano per riparare i danni causati al clima dai combustibili fossili, il Mar Rosso sembra uno sfondo pittoresco e gli scienziati hanno definito le sue barriere coralline resilienti un «Punto di speranza, una rara perla di ottimismo in mezzo al buio. Ma secondo un’indagine di SourceMaterial e BBC News Arabic, i cui risultati sono stati condivisi con The Telegraph, «Proprio di fronte al vertice della COP27, un terminal petrolifero sta scaricando acqua contaminata in mare violando le leggi ambientali. Si ritiene che lo faccia da almeno 24 anni. Per 20 di quegli anni, il terminal è stato di proprietà congiunta di BP».
Si tratta del terminal di Ras Shukeir, a 100 chilometri da Sharm el-Sheikh, dall’altra parte del Golfo di Suez e SourceMaterial denuncia che, «Ogni giorno scarica in mare circa 16 piscine olimpioniche di acqua altamente inquinata, suggeriscono i dati, mettendo in pericolo non solo la bellezza che attira migliaia di subacquei in Egitto ogni anno, ma anche la salute dell’intero oceano. Le immagini satellitari che risalgono al 1985 mostrano una macchia marrone a volte larga più di 2 chilometri che si insinua nell’acqua blu da opuscolo turistico intorno al sito». L’inquinamento è costituito da “acqua prodotta”, un sottoprodotto della trivellazione petrolifera che viene pompato a terra dalle piattaforme e viene stoccato temporaneamente in due grandi impianti di lagunaggio prima di essere riscaricata, a malapena trattata, nel Mar Rosso.
Secondo l’inchiesta, «La macchia di acqua contaminata è visibile ininterrottamente dal 1998 in poi, l’anno prima che BP diventasse comproprietario della società operativa. Documenti scientifici trapelati dal 2006 al 2018 dimostrano che i livelli medi di contaminanti nell’acqua prodotta dal sito violano le norme ambientali del Paese». I dati di una gara di appalto del 2019 per la costruzione di un impianto di depurazione per la pulizia dell’acqua prodotta, rivelano che «Contiene fino a 115 volte più ferro e 384 volte più piombo di quanto consentito dalle leggi egiziane. Anche i livelli di altri contaminanti come manganese, cromo e nichel sono molte volte superiori ai limiti legali».
Ras Shukeir è gestito dalla Gupco, una società di proprietà congiunta del governo egiziano e di Dragon Oil, con sede a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti. Dragon Oil ha acquistato la sua quota del 50% da BP per circa 600 milioni di dollari nel 2019.
Caroline Lucas, deputata del Green Party UK, ha commentato: «Non sorprende che BP e altri preferiscano vendere i loro beni più sporchi e dannosi per l’ambiente piuttosto che ripulirli da soli». BP ha però detto di aver ceduto asset come Ras Shukeir per motivi finanziari, non come parte di una spinta a migliorare le proprie credenziali ecologiche. Nei mesi prima che BP trasferisse la sua quota a Dragon Oil, Gupco aveva pubblicato la gara d’appalto riconoscendo di violare le norme egiziane: «La quantità di acqua trattata e smaltita è di 40.000 m3 al giorno e non è conforme all’allegato 1 della legge 4/94». L’appalto di bonifica se lo è aggiudicato la britannica Hydro Industries e il suo operating officer, Richard Libbey, dichiarò che era ansioso di iniziare i lavori che dopo tre anni non sono partiti, mentre l’acqua inquinata continua a scorrere nel Mar Rosso.
Secondo Gera Troisi, ecotossicologa della Brunel University di Londra, «Le sostanze chimiche che vengono pompate nell’acqua stanno privando di ossigeno la vita marina nelle vicine barriere coralline. La “domanda biologica di ossigeno”, una misura dell’efficacia del trattamento delle acque reflue, è fino a 34 volte oltre il limite legale. Stanno togliendo l’ossigeno dall’acqua. Questo significa che non c’è abbastanza ossigeno per specie come pesci e granchi. Saranno soffocati».
Rispondendo alle domande di SourceMaterial, BP ha affermato che «Qualsiasi richiesta dovrebbe essere indirizzata agli attuali proprietari di Gupco» e non ha risposto alle domande sull’inquinamento durante la sua gestione del terminal.
SourceMaterial e BBC News Arabic scrivono che «Le immagini satellitari mostrano il pennacchio di acqua contaminata che viene spinta lungo la costa dalla corrente prima di disperdersi fino a 20 chilometri a sud di Ras Shukeir. A soli 9 chilometri lungo la costa dal terminal si trova la località balneare di Zerzarah, popolare tra i dipendenti Gupco e le loro famiglie. Le foto di Facebook mostrano donne con cuffia e occhialini da nuoto e bambini che giocano a palla sulla sabbia».
La Troisi ha commentato: «Non metterei mio figlio in quell’acqua. E’ tossica». Florian Roth, dell’università di Helsinki, concorda: «Chiunque si immerga vicino al tubo che scarica l’acqua dovrebbe indossare indumenti protettivi completi ed evitare di avvicinarsi a meno di 50 metri».
Ma per i giornalisti e scienziati arrivare al tubo è quasi impossibile: come ricorda l’inchiesta, «L’accesso alla regione petrolifera nel Golfo di Suez è fortemente limitato e l’area, che rappresenta almeno un quarto della produzione egiziana di petrolio e gas, è presidiata da polizia e soldati. Denunciare l’inquinamento da petrolio in Egitto è rischioso e alcune delle persone che abbiamo contattato per questa storia avevano troppa paura di parlare con noi per paura di rappresaglie». La repressione di giornalisti e attivisti da parte del governo egiziano è una delle ragioni per cui l’attivista climatica Greta Thunberg non partecipa alla COP.
L’episodio, oltre che significativo del clima “ambientale” che si respira davvero in Egitto, è molto preoccupante perché la protezione dei coralli del Mar Rosso è fondamentale per gli ecosistemi marini di tutto il mondo. Sebbene le barriere coralline coprano solo lo 0,2% del fondo oceanico, ospitano almeno un quarto di tutte le creature e le piante marine. L’Onu ha avvertito che se le temperature aumentano di 1,5° C, verrà spazzato via fino al 90% dei coralli del mondo. E il Mar Rosso si sta riscaldando più velocemente della media globale. «Eppure – evidenzia Sylvia Earle, oceanografa e fondatrice di Mission Blue – finora i coralli della regione si sono dimostrati sorprendentemente resistenti. Sono un punto della speranza. I coralli del Mar Rosso sono diversi da quelli che si trovano altrove perché hanno dimostrato di essere altamente tolleranti all’aumento della temperatura del mare. Sono di enorme importanza per la comunità internazionale grazie alla possibilità di trapiantare coralli dal Mar Rosso per riabilitare le barriere coralline degradate in altre parti del mondo, come la Grande Barriera Corallina».
Ma, alla fine, anche i robusti coralli egiziani potrebbero non essere in grado di resistere all’assalto dell’inquinamento, combinato con i danni causati dalla pesca, dalle spedizioni e dai turisti. Ahmed Fouad, direttore del Red Sea Project, conferma che «Molti sono già stati distrutti. Le barriere coralline sono molto sensibili e molto facilmente influenzate da eventuali cambiamenti nella qualità dell’acqua. 10 anni fa mi immergevo in questa zona, ma non mi piace più».
A sud di Ras Shukeir c’è l’isola di Giftun, un sito di nidificazione delle tartarughe embricate in pericolo di estinzione la cui popolazione globale nell’ultimo secolo è diminuita di oltre l’80%, in gran parte a causa dei danni alle barriere coralline dove si nutrono. L’australiano Jason Van De Merwe, della Griffith University, avverte: «Anche se il pennacchio di acqua contaminata non si è ancora spinto così lontano, il suo continuo volume elevato e la sua composizione tossica sono motivo di preoccupazione. Molte di queste sostanze chimiche sono tossiche anche a basse concentrazioni. E’ davvero preoccupante che queste sostanze chimiche vengano rilasciate in prossimità degli habitat di foraggiamento delle tartarughe marine».
Nella regione dove si sta svolgendo la COP27 Unfccc le perdite di petrolio sono abbastanza comuni: ad agosto, le foto di spiagge sporche di petrolio in Giordania hanno fatto il giro dei social media dopo la marea nera provocata da una petroliera nel Golfo di Aqaba. «Ma le fuoriuscite di petrolio sono spesso meno dannose dell’inesorabile e continuo inquinamento dell’acqua prodotta a Ras Shukeir», spiega uno scienziato, che ha chiesto l’anonimato perché ha rapporti di lavoro con il governo egiziano. Le fuoriuscite attirano anche l’attenzione dei media, spingendo i responsabili a ripulire.
Alla COP27, il governo degli Stati Uniti ha promesso 15 milioni di dollari per proteggere il Mar Rosso e le sue barriere coralline, ma senza fissare una qualche data per il progetto. Intanto, l’acqua prodotta continua a inquinare il mare e il suo flusso potrebbe addirittura per aumentare. Come rivela l’indagine: «Dragon Oil ha affermato che aumenterà la produzione di circa 11.000 barili al giorno spendendo più di 1 miliardo di dollari in nuove trivellazioni, in particolare nella regione intorno a Ras Shukeir. A febbraio, Dragon Oil ha dichiarato di aver trovato nuovo petrolio in una delle più grandi scoperte nella regione degli ultimi 20 anni. Anche altre compagnie hanno ambizioni nell’area. Quest’anno Shell e Chevron hanno svolto lavori di esplorazione nel Golfo di Suez».
Gupco, Dragon Oil e il governo egiziano non hanno risposto alle domande di SourceMaterial e BBC News Arabic su questi sviluppi e sugli altri aspetti di questa vergognosa vicenda che rischia di far sembrare tutto quel che sta avvenendo alla COP27 una colossale operazione di greenwashing.
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