L’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) ha presentato ieri in Senato il nuovo Rapporto rifiuti speciali, incentrato sui dati 2020.

Nell’anno di avvio della pandemia in Italia è calata del 4,5% la produzione dei rifiuti speciali – quelli provenienti da attività industriali, commerciali, sanitarie, ecc, che restano comunque il quintuplo dei rifiuti urbani –, di fronte ad un crollo praticamente doppio (-8,9%) del Pil nazionale.

In totale i rifiuti speciali prodotti si sono fermati a 147 mln di ton, suddivisi tra pericolosi (9,8) e non (137,1). Un dato che peraltro «potrebbe risultare comunque sottostimato», sottolineano dall’Ispra: quelli dei rifiuti speciali è infatti un mondo dove la certezza dell’informazione è purtroppo un’utopia, dato che neanche l’Ispra non ha modo di sapere precisamente quanti sono, arrivando a stimare il 49,8% dei rifiuti non pericolosi.

Il poco che sappiamo è comunque sufficiente per affermare, ad esempio, che i target di prevenzione nella produzione dei rifiuti speciali non sono stati raggiunti. Il nuovo Piano di prevenzione stabilito dal recepimento dell’ultimo pacchetto normativo Ue sull’economia circolare non è ancora stato adottato, mentre il vecchio Programma nazionale del 2013 è al fallimento: come spiega Ispra nel merito, la «variazione del rapporto tra produzione di rifiuti speciali non pericolosi per unità di Pil, rispetto ai valori registrati nel 2010, risulta positiva e in progressivo allontanamento dagli obiettivi fissati dal Programma di prevenzione».

Da dove arrivano dunque tutti questi rifiuti speciali? Come sempre, in testa al podio (col 45,1%) svetta il settore delle costruzioni e demolizioni, seguito dalle attività di trattamento dei rifiuti e di risanamento (26,3%) con 38,6 milioni di tonnellate – molto più di tutti i rifiuti urbani prodotti in un anno – e infine dalle attività manifatturiere (18,2%).

Come li gestiamo? Ispra informa che i rifiuti speciali complessivamente gestiti in Italia, nel 2020, sono pari a 159,8 milioni di tonnellate: l’avvio a recupero di materia costituisce la quota predominante (70,6%), seguito da operazioni di smaltimento (10,3%), dalla discarica (6,2%), dal coincenerimento (1,1%) e dall’incenerimento (0,8%), senza dimenticare che nel 2020 «permangono in giacenza presso gli impianti di gestione, nonché presso i siti di produzione, 17,6 milioni di tonnellate di rifiuti».

In quest’ottica restano elevate le problematiche legate alla scarsità d’impianti adeguati, sul suolo nazionale, per gestire tutti i rifiuti speciali che produciamo: l’Ispra ne conta 10.472 sparsi per lo stivale (erano 10.839 nel 2019), con forti disparità regionali (sono concentrati prevalentemente al nord).

«L’Istituto – commenta Stefano Laporta, presidente di Ispra e Snpa – ha potuto fornire al Mite tutte le informazioni necessarie alla redazione delle due riforme collegate Pnrr che disegnano la strategia per lo sviluppo dell’economia circolare dell’Italia nei prossimi 6 anni: la Strategia nazionale per l’economia circolare e il Programma nazionale di gestione dei rifiuti (Pngr). Il gap impiantistico tra nord e sud, descritto dal rapporto, potrà essere in parte colmato dalle oltre 4000 proposte di progetti presentate per i bandi Pnrr della missione sull’economia circolare, di cui quasi la metà arrivate dal Mezzogiorno».

Nel frattempo resta elevato il ricorso all’export, soprattutto per i “rifiuti da rifiuti”, ovvero gli scarti dell’economia circolare che non vogliamo gestire, preferendo pagare altri Paesi (Germania in testa, seguita da Austria e Ungheria) per farlo al posto nostro.

Nel 2020, dall’Italia sono esportati oltre 3,6 milioni di tonnellate di rifiuti speciali (-7,8%), a fronte di una importazione di circa 6,8 milioni di tonnellate (-4,6%). Con un’importante differenza qualitativa: mentre i rifiuti importati sono costituiti essenzialmente da rifiuti metallici, destinati principalmente alle acciaierie localizzate in Lombardia e in Friuli Venezia Giulia, i rifiuti esportati sono costituiti per il 67,6% da “rifiuti prodotti da impianti di trattamento dei rifiuti, impianti di trattamento delle acque reflue fuori sito nonché dalla potabilizzazione dell’acqua e dalla sua preparazione per uso industriale”.

Non va meglio per altre frazioni critiche, come i rifiuti contenenti amianto. A fronte di una banca dati Inail dove risultano circa 108.000 siti italiani interessati dalla presenza di amianto, nel 2020 le discariche operative che smaltiscono rifiuti contenenti amianto sono solo 18 (una in meno rispetto al 2019).

Di particolare interesse, visto l’anno pandemico, anche l’analisi sui rifiuti sanitari: quelli gestiti in Italia nel 2020 sono oltre 240 mila tonnellate, di cui poco più di 22 mila tonnellate di rifiuti sanitari non pericolosi ed oltre 218 mila tonnellate di rifiuti sanitari pericolosi, con un incremento, per quest’ultima tipologia di rifiuti, pari al 17,3% rispetto all’anno 2019. Che ne è stato di questi rifiuti? Le operazioni di gestione volte allo smaltimento rappresentano circa l’81% del totale: in particolare, prevalgono l’incenerimento (44%) e il trattamento fisico-chimico (27%).

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