L’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) ha presentato oggi il Rapporto rifiuti urbani 2022, dove si dà conto (con dati aggiornati al 2021) della produzione, raccolta e gestione dei rifiuti generati ogni giorno nelle nostre case e dagli “ex assimilati”.
Ovvero la parte più visibile dei rifiuti, nonostante i rifiuti speciali – prodotti da imprese, attività commerciali, sanitarie, etc – siano il quintuplo.
Ispra documenta che nel 2021 l’Italia ha prodotto 29,6 milioni di tonnellate di rifiuti urbani, in crescita di 677mila t (+2,3%) rispetto a un 2020 segnato dalle restrizioni pandemiche. Al contempo è cresciuta anche la raccolta differenziata (64%, +1% sul 2020), a un soffio dall’obiettivo che legge avrebbe essere dovuto traguardato nel 2012 (65%). Eppure, al contempo è diminuito l’avvio a riciclo: complici modalità di calcolo più rigide – definite in sede europea – la percentuale di preparazione per il riutilizzo e riciclaggio si è fermata al 48,1% rispetto al 48,4% del 2020.
Com’è possibile che ci sia questo scarto tra differenziata e riciclo? L’Ispra conferma «un progressivo allargamento della forbice tra la percentuale di raccolta differenziata e i tassi di riciclaggio, a riprova del fatto che la raccolta, pur costituendo uno step di primaria importanza per garantire l’ottenimento di flussi omogenei, non può rappresentare il solo elemento per raggiungere elevati livelli di riciclaggio in quanto è necessario garantire che i quantitativi raccolti si caratterizzino anche per un’elevata qualità al fine di consentirne l’effettivo riciclo. Lo sviluppo delle raccolte deve essere, inoltre, necessariamente accompagnato dalla disponibilità di un adeguato sistema impiantistico di gestione».
Ma proprio gli impianti di gestione continuano a diminuire – quello operativi nel 2021 erano 657, a fronte di 673 l’anno precedente – mentre non se ne realizzano di più nuovi e moderni a causa delle sempre più numerose sindromi Nimby (non nel mio giardino) e Nimto (non nel mio mandato elettorale) che ne frenano la realizzazione.
Come li gestiamo, dunque, i nostri rifiuti? Il 19% finisce ancora in discarica, il 18% è incenerito, mentre l’avvio a riciclo assorbe il 50% dei rifiuti urbani prodotti (23% dalla frazione organica, 27% dal resto delle altre frazioni differenziate), mentre l’export continua a crescere (+13,3% sul 2020) a 659mila t (di cui 4.436 t di rifiuti urbani pericolosi), dirette principalmente verso Austria, Portogallo, Spagna, Ungheria e Paesi Bassi.
Ma i rifiuti urbani non viaggiano solo all’estero, anche il turismo nazionale è molto apprezzato; tanto che si stima che la spazzatura percorra 68 mln di Km l’anno entro i patri confini, in cerca d’impianti in grado di gestirla, con pesanti ricadute ambientali e sulla Tari pagata dai cittadini.
«Nonostante l’art. 182-bis del d.lgs. 152/2006 stabilisca il principio dell’autosufficienza per lo smaltimento dei rifiuti urbani non pericolosi e per i rifiuti del loro trattamento a livello di ambito territoriale ottimale, l’analisi dei dati – spiega Ispra nel merito – evidenzia che i rifiuti in uscita dagli impianti di trattamento meccanico biologico, vengono di frequente avviati a smaltimento in regioni diverse da quelle in cui sono stati prodotti».
Dai Tmb, ovvero i famosi “impianti a freddo” per la gestione rifiuti, passa infatti il 30,6% dei rifiuti urbani prodotti (per l’80,9% rifiuti urbani indifferenziati). Ne escono altri rifiuti (stavolta speciali), liberi di affidarsi al mercato e di sfuggire così a una gestione di prossimità: per il 43,8% vanno in discarica, il 25% è termovalorizzato mentre solo il lo 0,9% (-13,9% sul 2020) viene destinato al riciclo.
Come migliorare? Innanzitutto approntando un nuovo Programma nazionale di prevenzione dei rifiuti, dato che quello varato nel 2013 è scaduto (nel 2021 il rapporto rifiuti urbani/Pil è calato del 6,8% rispetto al 2010, superando il target fissato al -5% entro il 2020) e non è stato ancora rinnovato: a prevederlo è il Programma nazionale per la gestione rifiuti (Pngr), che ne affida la stesura al ministero dell’Ambiente di concerto col ministero delle Imprese e con quello dell’Agricoltura.
In base all’ultimo pacchetto normativo sull’economia circolare recepito in Italia da direttive Ue, inoltre, come ricorda Ispra «lo smaltimento in discarica nei prossimi 15 anni dovrà essere dimezzato (10% entro il 2035), la percentuale di rifiuti da avviare ad operazioni di recupero di materia dovrà essere notevolmente incrementata per garantire il raggiungimento del 60% di riciclaggio al 2030 e del 65% al 2035».
Per raggiungere questi obiettivi la raccolta differenziata dovrà crescere in quantità e qualità, ma al contempo dovranno crescere gli impianti di gestione rifiuti e gli sbocchi di mercato per i prodotti riciclati.
Un aiuto in tal senso potrebbe arrivare sempre dal Pngr: dato che «le opere, gli impianti e le infrastrutture necessari ai fabbisogni impiantistici individuati dal Programma nazionale per la gestione dei rifiuti costituiscono interventi di pubblica utilità, indifferibili e urgenti», in caso di inerzia nei procedimenti autorizzativi non di competenza statale (dunque di competenza regionale, generalmente) «il Consiglio dei ministri nomina un commissario ad acta, al quale attribuisce, in via sostitutiva, il potere di adottare gli atti o i provvedimenti necessari».
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