Realizzare un modello di economia più circolare è essenziale per ridurre le emissioni di gas serra che stanno provocando la crisi climatica in corso, ma – come ogni processo industriale – anche il riciclo richiede energia. Molta. E se non ci sono sufficienti fonti rinnovabili per tenere bassi i costi delle bollette, si ferma non solo la circolarità dell’economia ma anche la gestione dei nostri rifiuti.
È quanto sta succedendo in questi giorni in Italia, con alcuni associazioni d’impresa attive nel mondo del riciclo ad annunciare lo stop agli impianti.
«Purtroppo nostre imprese storiche che da sempre sono un punto di riferimento in varie regioni d’Italia hanno annunciato che a partire dai prossimi giorni non accoglieranno in ingresso neanche più un chilo di rifiuto da trattare», dichiara la direttrice del Consorzio nazionale dei rifiuti dei beni in polietilene (Polieco), Claudia Salvestrini, esprimendo preoccupazione perché «l’interruzione del ciclo produttivo, reso non più sostenibile dall’aumento esponenziale dei costi energetici, rischia di determinare non solo un danno in termini economici ed occupazionali, ma anche ambientali».
Già mesi fa Polieco aveva fatto appello alle istituzioni affinché si attuassero politiche a sostegno, mentre oggi la prospettiva è quella della chiusura, con tonnellate di rifiuti che non avranno più una destinazione certa.
Le imprese del riciclo, che sono altamente energivore, hanno già sostenuto nei mesi scorsi aumenti notevoli ma nelle ultime settimane il rialzo è stato tale da rendere non più sostenibile il ciclo produttivo.
«Abbiamo sospeso il 40% delle attività, perché i costi dell’energia non sono più sostenibili», aggiungono da Assorimap, l’Associazione nazionale delle aziende che riciclano materie plastiche. Alcuni impianti sono già chiusi, mentre altri sono rimasti operativi soltanto alcuni giorni della settimana, una conseguenza del caro bollette, che da giugno ad agosto sono aumentate del 440%.
L’Associazione chiede dunque interventi immediati al governo ancora in carica, ma si rivolge anche alle forze politiche che sono in campagna elettorale: il rischio è la chiusura delle aziende che genererebbe un cortocircuito del sistema di recupero dei rifiuti plastici e un enorme gap di competitività su scala internazionale.
La fluttuazione dei prezzi dell’energia non consente tra l’altro una programmazione delle attività. Basti osservare che appena due anni fa, in piena pandemia, il problema era altrettanto grave ma opposto a quello odierno: nel 2020 infatti l’industria della plastica stava affogando in un mare di petrolio a basso costo: allora prezzi delle materie vergini in caduta libera stavano mettendo a rischio il comparto in tutta Europa, mentre oggi accade il contrario. Prezzi troppo alti fermano il processo produttivo.
Come spiegava già a fine 2021 su queste pagine Michael Tamvakis, professore di Economia delle materie prime e finanza alla Bayes Business School, nell’attuale «contesto di prezzi del petrolio e del gas relativamente alti, avrebbe senso passare a materie prime seconde. Tuttavia, i prezzi elevati dell’energia significano anche input di costo più elevati per gli impianti di riciclaggio che usano l’elettricità, i cui prezzi sono anche influenzati dall’aumento generale delle materie prime energetiche».
E i problemi non si fermano certo al mondo della plastica. Si guardi ad esempio a quello della carta: Unirima, ovvero l’Unione nazionale imprese raccolta, recupero, riciclo e commercio dei maceri, annuncia di aver già «sospeso il 40% delle attività, perché i costi dell’energia non sono più sostenibili. L’aumento dei prezzi dell’energia, con il costo medio per Kwh dell’elettricità che dagli 0,158 euro del settembre 2021 che ha raggiunto gli 0,637 euro di oggi, è diventato insostenibile e sta determinando una grave crisi economica con il rischio che molte aziende del riciclo della carta, a breve, si vedranno costrette a ridurre sensibilmente il proprio ciclo produttivo anche a causa del blocco dei settori industriali a valle del nostro».
Che fare? Unirima chiede al Governo di intensificare le verifiche su eventuali speculazioni, di introdurre un price cap sul prezzo dell’energia e di scollegare il valore delle rinnovabili dal gas, nonché di adottare misure temporanee volte ad incrementare le capacità di stoccaggio degli impianti.
«La decisione del settore cartario, a valle del nostro, di fermo delle attività a causa del costo dell’energia sta comportando incrementi degli stoccaggi degli impianti con quantità al limite di quelle autorizzate, per questo, a breve, potrebbero essere necessarie, in deroga agli atti autorizzativi rilasciati ai sensi del D.lgs. 152/06, misure urgenti volte ad incrementate la capacità di stoccaggio. Tale situazione e la chiusura delle attività economiche che ricevono la materia prima “carta da macero” prodotta dagli impianti di recupero/riciclo carta, ha determinato il crollo del valore delle materie prime secondarie con i prezzi di agosto che si sono praticamente dimezzati rispetto a quelli del mese precedente, mettendo ulteriormente sotto pressione la tenuta del sistema», concludono da Unirima.
L. A.
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