Tenuto conto sempre che la plastica biodegradabile non dovrebbe essere comunque gettata in giro e che dovrebbe essere smaltita correttamente,  lo studio “Exposure to petroleum-derived and biopolymer microplastics affect fast start escape performance and aerobic metabolism in a marine fish”, pubblicato su Science of the Total Environment da un team di ricercatori neozelandesi dell’università di Otago e del Riddet Institute, arriva alla conclusione che «Potrebbe non essere la soluzione all’inquinamento da plastica che molti speravano» dato che «Le bio-plastiche sono ancora dannose per i pesci».

È noto che le microplastiche derivate dal petrolio hanno un impatto sulla vita marina, ma si sa poco sull’impatto delle alternative biodegradabili, lo studio pubblicato su Science of the Total Environment  è il primo a valutare l’impatto che la plastica derivata dal petrolio e la plastica biodegradabile hanno sui pesci che vivono allo stato selvaticoi.

La principale autrice dello studio,  Ashleigh Hawke, che ha completato un master of science al Department of Marine Science  dell’università di Otago, sottolinea che «L’esposizione alla plastica derivata dal petrolio ha influenzato negativamente le prestazioni di fuga, il nuoto di routine e il metabolismo aerobico dei pesci. Al contrario, quelli esposti alla bioplastica hanno avuto solo un effetto negativo sulla loro velocità massima di fuga. La ricerca è significativa in quanto dimostra che, se vengono esposti ad esse, sia la plastica derivata dal petrolio che la plastica biodegradabile possono essere dannose per i pesci marini. La plastica biodegradabile potrebbe non essere la soluzione miracolosa all’inquinamento plastico come crediamo che sia. Sebbene non sia così dannosa, può comunque causare effetti negativi a quegli animali che potrebbero esserne esposti: nel caso di questo studio, le popolazioni diminuirebbero poiché i loro comportamenti di fuga sono compromessi».

La plastica biodegradabile utilizzata nello studio è stata creata da Stephen Giteru, del Department of Food Science di Otago, sotto la supervisione di  Indrawati Oey del del Riddet Institute.

Una coautrice dello studio, Bridie Allan, anche lei del Department of Marine Science  dell’università di Otago, conclude: «Occorre fare di più a livello politico per proteggere gli ambienti marini. Lo sviluppo delle plastiche tradizionali è ben consolidato da decenni e quindi c’è poca variazione nella loro produzione. Tuttavia, poiché la plastica biodegradabile è un settore relativamente nuovo, vi sono variazioni nel modo in cui vengono prodotte e nei materiali utilizzati. Questa ricerca dimostra che le materie prime utilizzate in questi prodotti sono importanti e che il loro utilizzo dovrebbe essere maggiormente regolamentato e controllato».

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