Transizione energetica, economia circolare e adattamento ai cambiamenti climatici: sono questi i pilastri su cui si fondano le sfide e le azioni per rilanciare l’economia delle utility nel Mezzogiorno, messi oggi in evidenza a Bari, durante la presentazione del terzo Rapporto sud redatto da Utilitalia e Svimez.

Lo studio valuta gli impatti economici e occupazionali del settore delle utility (ambientale, idrico ed energetico) nelle regioni del sud. In particolare, le aziende attive nei servizi pubblici locali valgono il 2,1% del Pil del Mezzogiorno – contribuendo ad attivare 340mila posti di lavoro e valore aggiunto per 10 mld di euro –, raddoppiando al 4,2% considerando anche l’indotto.

Una realtà che è chiamata adesso a un nuovo salto di qualità, impiegando al meglio le ingenti risorse in arrivo dal Pnrr; guardando a un selezionato spettro di linee d’intervento nei settori idrico, ambientale ed energetico, il Rapporto sud si concentra in particolare su risorse Pnrr per 6,7 mld di euro.

«La filiera energia ambiente – spiega Luca Bianchi, dg Svimez – rappresenta già oggi un asset importante del sistema produttivo meridionale. Guardando alle nuove sfide del cambiamento climatico e della transizione ecologica, il settore delle utility meridionali può rappresentare il campo privilegiato di attuazione di politiche che incidano contemporaneamente sulla qualità del servizio per il cittadino e sulle prospettive di crescita sostenibile dell’area».

Il Sud Italia, del resto, ha il maggiore potenziale su scala nazionale di produzione da fonti rinnovabili (eolico e solare): la prima necessità che emerge dal rapporto è dunque quella di superare gli ostacoli alla realizzazione di nuovi impianti – che portino anche benefici tangibili per le comunità locali –, ad esempio tramite l’adozione di un testo unico per le autorizzazioni e il potenziamento delle relative strutture delle PA.

Anche sul fronte dell’economia circolare, oltre a promuovere strategie regionali e locali, è necessario soprattutto accelerare l’iter amministrativo e autorizzativo per contribuire a colmare il significativo deficit impiantistico esistente tra Nord e Sud, tenendo conto degli indirizzi forniti dal Programma nazionale di gestione dei rifiuti.

Tra le altre misure suggerite in quest’ambito spiccano l’estensione dell’ambito di applicazione dei sistemi di responsabilità estesa del produttore (anche a nuove tipologie di rifiuto e settori diversi, come l’idrico) e l’introduzione di meccanismi strutturali come i Certificati di efficienza economica circolare, che potrebbero incentivare efficienza impiantistica e recupero di materiale.

«Ridurre il gap infrastrutturale del sud – aggiunge il presidente di Utilitalia, Filippo Brandolini – è indispensabile per consentire al paese di raggiungere gli obiettivi della transizione ecologica e contribuisce a tutelare i diritti dei cittadini ad usufruire di un servizio di qualità uniforme su tutto il territorio nazionale e, al contempo, può innescare una positiva dinamica di sviluppo economico e sociale».

Una riflessione valida in particolare nell’ambito del servizio idrico integrato, la cui gestione nelle regioni meridionali è spesso affidata agli enti locali le cosiddette “gestioni in economia” (al Sud sono 7,7 i milioni di cittadini serviti dagli enti locali) che hanno una scarsa capacità di investimento rispetto alle gestioni industriali (8 € per abitante, contro 56 euro per abitante nel 2021); la maggiore eccezione è rappresentata dall’Acquedotto pugliese, dove non a caso la gestione industriale ha portato a investire 80 euro procapite nell’ultimo anno.

Da questo punto di vista, il Rapporto suggerisce dunque l’utilità di garantire l’immediato trasferimento alle Regioni dell’esercizio delle funzioni in quei contesti in cui ancora operano le gestioni in economia nel servizio idrico.

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