Dalle intense giornate di confronto con i ministri, parlamentari di tutti i partiti e schieramenti, imprese dell’economia verde italiana, associazioni di categoria e cittadini che ci sono state a Festambiente appena conclusasi a Rispescia (GR), ne è uscita una vera e propria agenda di Legambiente per la lotta alla crisi climatica che vede tra i suoi punti principali: «Il taglio dei sussidi pubblici alle fonti fossili, la velocizzazione degli iter autorizzativi degli impianti a fonti rinnovabili, l’aggiornamento del Piano nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC) ai nuovi obiettivi europei di decarbonizzazione del RepowerEU, la necessità di approvare il Piano nazionale sull’adattamento climatico ancora in standby dal 2018, l’urgenza di definire il quadro normativo per realizzare le comunità energetiche e di mettere a bando velocemente le risorse destinate all’agrivoltaico che produce energia in agricoltura senza consumo di suolo».
Il presidente del Cigno Verde, Stefano Ciafani, ha fatto un consuntivo del momento che stiamo vivendo e delle prospettive: «Siamo in piena emergenza climatica con risvolti evidenti e gravi anche sul territorio nazionale –ma il tema è drammaticamente assente nel dibattito della campagna elettorale per le prossime elezioni politiche. La siccità in Pianura Padana, la tragedia della Marmolada, le continue ondate di calore e le distruzioni causate da eventi meteorici estremi sono facce della stessa drammatica medaglia su cui chi si candida a governare il paese per i prossimi 5 anni dovrebbe esplicitare quali soluzioni vuole mettere in campo. Invece di usare in modo pretestuoso il dramma dei migranti che fuggono dai loro paesi, spesso per responsabilità dei paesi occidentali, o di parlare di soluzioni al problema dei rincari in bolletta, proponendo un improbabile ritorno al nucleare, l’opzione tecnologica più costosa ormai fuori mercato grazie alla convenienza delle rinnovabili, ci aspettiamo nei prossimi 45 giorni proposte concrete per aiutare famiglie e imprese e per rendere finalmente libero l’Italia dalla dipendenza energetica dall’estero che alimenta tensioni e guerre. È il momento delle proposte sulla vera transizione ecologica che non abbiamo praticato finora. In autunno staremo col fiato sul collo ai nuovi governo e parlamento affinché dalle buone idee si passi ai fatti concreti».
A Festambiente si è parlato anche di strumenti per il coinvolgimento territoriale per ridurre le contestazioni sulla realizzazione delle opere che servono alla transizione ecologica italiana (impianti di digestione anaerobica per produrre compost e biometano, impianti eolici sui crinali e in mare, infrastrutture ferroviarie per rendere moderno in tutto il paese il trasporto su rotaia di persone e merci, etc); dell’urgenza di un quadro normativo sulla riduzione dell’uso dei pesticidi e del supporto necessario per far decollare l’agricoltura biologica dopo l’approvazione della legge; di innalzamento del livello qualitativo dei controlli pubblici per prevenire le illegalità ambientale e di nuovi strumenti per la lotta alle ecomafie e alla criminalità organizzata attiva in agricoltura; di perdita di biodiversità, riforma della legge quadro sui parchi per permettere al paese di rispettare l’obiettivo del 30% di territorio protetto entro il 2030; di lotta alla povertà energetica e alle ingiustizie sociali.
Anche il Wwf fa un bilancio della legislatura appena conclusasi e guarda con preoccupazione al futuro: «Al netto delle problematiche globali e della situazione pandemica ed economica emergenziale, dopo una intera legislatura caratterizzata anche da maggioranze ampie (almeno per i governi Conte 1 e Draghi), rispetto a questioni ambientali cruciali ci ritroviamo sostanzialmente al punto di partenza del 2018 con alcune situazioni persino peggiorate. Una serie di dati oggettivi testimonia come, pur essendovi evidenti responsabilità anche da parte di altre istituzioni (prime fra tutte le Regioni) e del mondo imprenditoriale, lo Stato è apparso debole se non assente sia nelle politiche d’indirizzo sia nelle azioni di monitoraggio e controllo: la cosa più grave è la mancanza di una visione in grado di porre solide basi per una transizione ecologica ormai non più rinviabile».
Secondo il neo presidente del Wwf Italia, Luciano Di Tizio, «Si sono persi 5 anni preziosi in una situazione che avrebbe richiesto un agire deciso e continuo, a causa dei cambiamenti climatici in atto e della continua, progressiva perdita di biodiversità: al di là delle tante dichiarazioni fatte, la legislatura non ha contribuito a invertire nessuno dei trend negativi in campo ambientale: L’unico risultato importante ottenuto è l’inserimento della tutela dell’ambiente nella Costituzione con la modifica degli articoli 9 e 41. Una affermazione di principio importante che, tuttavia nella legislatura uscente non ha avuto la concreta applicazione che le emergenze che viviamo avrebbero richiesto. Ci aspettiamo dal prossimo Parlamento e dal prossimo Governo un deciso e urgente cambio di passo, nell’interesse della collettività dei cittadini, nei fatti e non soltanto nelle promesse e negli impegni».
E il Panda fa uno sconsolato elenco del non fatto per alcuni dei principali temi ambientali: energie rinnovabili, consumo di suolo, Parchi nazionali e aree marine protette, deregulation venatoria, gestione dell’acqua, riduzione e prevenzione dei rifiuti e ridefinizione green del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.
Le due grandi associazioni ambientaliste danno un pessimo giudizio sull’operato del ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani che ha già avuto l’endorsment di Matteo Salvini per una possibile riconferma al ministero in caso di vittoria della destra-centro.
«Preoccupa la situazione gestionale del passato Ministero dell’Ambiente, oggi Ministero della Transizione Ecologica – dice il Wwf – Avviata una modifica dell’organizzazione interna, poi rivista dal suo successore Cingolani, l’allora Ministro Costa ha rinunciato alla stabilizzazione del personale che già da anni operava all’interno del Ministero, avviando un concorso pubblico per 251 posti di funzionari per 8 distinte categorie che, dopo la partecipazione di migliaia di candidati a test ed esami di selezione, ha portato all’assunzione di sole 96 persone non risolvendo minimamente la carenza di organico cui si doveva rimediare, né superando la necessità di dover ricorrere a personale esterno. Ma le maggiori preoccupazioni vengono dall’attuazione concreta del Ministero della Transizione Ecologica che ha sostituito, allargandone le competenze, il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare. Questa trasformazione, richiesta dal Wwf Italia assieme a Greenpeace e Legambiente all’allora Presidente incaricato Mario Draghi in sede di consultazioni preliminari alla formazione del Governo, non ha fatto compiere all’Italia quel salto di qualità che ci si aspettava nel campo delle scelte ambientali. Le politiche di conservazione della natura, già molto deboli, sono quasi scomparse dalla lista delle priorità a vantaggio di altri ambiti che, anziché affiancarsi all’azione di tutela, l’hanno sovrastata in termini di investimento. L’assorbimento del Dipartimento sull’Energia dal Ministero per lo Sviluppo Economico non è stato adeguatamente bilanciato, tanto più che il Ministro, in relazione al cambiamento climatico, nonostante competenze innegabili sul piano tecnico, ha messo in secondo piano le politiche territoriali proprie dei principi di adattamento e resilienza. Nella gestione del ministro Cingolani più che il ministero della Transizione ecologica abbiamo avuto il “ministero della Transizione Tecnologica” che ha perso di vista uno degli aspetti centrali della transizione ecologica, ossia il limite delle risorse naturali. In questo quadro il fatto che l’aggiornamento del rapporto sul capitale naturale del Paese non sia stato pubblicato, pur essendo stato predisposto con dati preoccupanti sulla perdita di biodiversità, è certamente indicativo».
In un’intervista concessa all’Adnkronos a margine di Festambiente, Ciafani ha detto che «Il ministro delle Transizione ecologica Roberto Cingolani ci ha profondamente deluso. Ci sono state molte iniziative per diversificare le fonti energetiche con uno ‘shopping’ di gas in tutto il mondo, e questo – spiega – per fronteggiare l’emergenza, a nostro avviso, poteva essere comprensibile, ma non è stata fatta la stessa azione efficace ed immediata sul fronte della liberazione graduale dalla dipendenza dall’estero. E si è lavorato poco sulle rinnovabili. Inoltre, c’è stata una disattenzione su altre questioni molto importanti come sull’economia circolare, sul tema delle bonifiche dei siti inquinati e sulle aree protette e la biodiversità. Quanto alla transizione dell’automotive all’elettrico, non abbiamo assolutamente compreso tutte le dichiarazioni di Cingolani sul fatto che la transizione ecologica rischia di essere un bagno di sangue per il settore dell’automotive ma se rimaniamo fermi rischia di travolgere l’industria italiana… L’Italia è stata tra i pochi Paesi in Europa a chiedere di andare oltre la scadenza del 2035 per porre fine alla produzione di motori a combustione interna, ed è così che rischiamo di mandare nei guai imprese e lavoratori mentre si dovrebbe accompagnare la riconversione delle imprese con programmi di formazione dei cicli produttivi e dei lavoratori. Cingolani ha mostrato un approccio conservatore».
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