Secondo lo studio “Plastics shape the black soldier fly larvae gut microbiome and select for biodegrading functions”, pubblicato su Microbiome da un team di ricerca dell’Università degli Studi di Milano, Università degli Studi di Napoli Federico II e Università degli Studi dell’Insubria, «Le larve di mosca soldato nera (Hermetia illucens) possono essere un valido strumento per lo sviluppo di strategie di bioconversione delle plastiche grazie a geni di batteri che risiedono nel loro intestino

Le larve di H. illucens sono efficienti agenti di bioconversione oggetto di numerose ricerche e una delle autrici dello studio, Morena Casartelli del dipartimento di bioscienze  dell’università di Milano e runiversity Center for Studies on Bioinspired Agro-Environmental Technology (BAT Center) dell’Università di Napoli Federico II, che negli ultimi anni ha studiato diversi aspetti della biologia e della fisiologia intestinale di queste larve, spiega che «Questi insetti possono crescere su un’ampia varietà di rifiuti organici, scarti e sottoprodotti della filiera agroalimentare, i quali vengono così “biotrasformati” in molecole di grande valore per diversi settori. Dalle larve e dalle pupe è possibile produrre farine per la mangimistica, estrarre proteine per la sintesi di bioplastiche e altri biomateriali utili nell’ambito biomedicale, oli per la produzione di biocarburanti e, ancora, chitina e peptidi antimicrobici».

L’attività di ricerca è stata finanziata dall’Università degli Studi di Milano grazie al progetto Seal of Excellence 2019 – PSR 2019 “The Insect gut Microbiota: a source of microorganisms and enzymes for PLAstic BIOdegradation (IMPLABIO)”, dal Progetto PRIN 2020 “aN InseCt biorEactor for the full valorization of PolyEthylene Terephthalate (NICE-PET)” e dal progetto Cariplo 2022 – Bando Circular Economy 2022 – “ProPla: Proteins form plastics”.

Nello studio, le larve di H. illucens sono state allevate su polietilene e polistirene e la loro capacità di degradare questi polimeri, dimostrata con spettroscopia NMR e microscopia elettronica a scansione, I ricercatori dicono che «E’ il risultato di specifiche funzioni possedute dai batteri che risiedono nel loro intestino. Dall’analisi del microbioma intestinale, ossia l’insieme del patrimonio genetico della comunità microbica che risiede nel lume dell’intestino, sono stati ricostruiti circa 1.000 genomi parziali di specie batteriche sconosciute ed è stato possibile individuare diversi geni potenzialmente coinvolti nell’attività di degradazione delle plastiche, come laccasi e perossidasi».

Per Silvia Caccia, dello stesso gruppo di ricerca della Casartelli, «Questo lavoro dimostra inequivocabilmente che le larve di H. illucens possono essere utilizzate come “bioincubatori” per selezionare non solo consorzi di microorganismi “plasticolitici” ma anche geni che codificano per enzimi in grado di degradare le plastiche che possono essere espressi in forma ricombinante ed evoluti per ottimizzarne la potenzialità biotecnologica. Questo approccio si è infatti rivelato fondamentale per lo sviluppo delle attuali strategie di bioconversione di un’altra plastica, il polietilene tereftalato, la plastica utilizzata per le bottiglie che contengono molte delle bevande presenti sulle nostre tavole».

Danilo Ercolini, docente di microbiologia agraria e direttore del Dipartimento di agraria della Federico II, conclude: «Questa ricerca è un’ulteriore riprova di quanto siano importanti per tutti gli organismi superiori la composizione e le funzioni del microbioma intestinale. Scopriremo presto che questo ecosistema non ha limiti, ha il potenziale di contribuire su diversi aspetti alla salute dell’organismo ospite, ma, come dimostra questo studio, anche all’adattabilità dell’ospite ad ambienti particolari e quindi all’erogazione di servizi importanti per le biotecnologie e per l’ambiente».

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