Passeggiando sui nostri litorali ci si imbatte in una serie praticamente infinita di rifiuti: dagli onnipresenti mozziconi di sigaretta alle bottiglie di plastica, passando per i tappi. Ma spesso capita di trovarsi di fronte ad oggetti apparentemente misteriosi. Vi è mai successo di trovare degli strani piccoli dischi di plastica bianchi con dei forellini? Probabilmente sì, dato che vengono spesso segnalati su diverse spiagge. Se vi siete sempre chiesti cosa sono, la risposta potrebbe stupirvi.

Si tratta tecnicamente di “filtri a biomassa adesa”, usati per la depurazione delle acque reflue.

Ad accendere i riflettori sulla presenza di questi oggetti sui litorali italiani anche la pagina Facebook Archeoplastica, che qualche mese fa ha pubblicato una foto con alcuni dischetti rinvenuti.

I dischetti di plastica si trovano praticamente in tutte le spiagge d’Italia. Vengono utilizzati all’interno dei grandi depuratori per degradare le acque della fognatura grazie a miliardi di batteri che si depositano sulla loro superficie. – spiega Enzo Suma, guida naturalistica pugliese e ideatore del progetto Archeoplastica (un museo virtuale che cataloga gli oggetti raccolti sulle spiagge classificandoli per periodo di produzione)  – Vengono usati anche in acquacoltura per depurare l’acqua negli impianti di allevamento del pesce.

Forse qualcuno ricorderà che nel 2018 migliaia di dischetti finirono per invadere diversi più tratti costieri del Mar Tirreno Centrale, in particolare l’isola di Ischia, il litorale della Campania e quello del Lazio, tra Fiumicino ed Anzio. Quello che sembrava un mistero fu poi svelato  dalle Capitaneria di Corpo e della Guardia Costiera, che hanno accertato che si trattatava di filtri fuoriusciti a seguito di un cedimento strutturale di una vasca di un depuratore.

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I piccoli dischi di plastica si erano riversati prima nel campano fiume Sele e in poco tempo avevano raggiunto le acque e i litorali del Tirreno.

È davvero triste paradossale pensare che dei dispositivi che dovrebbero combattere l’inquinamento alla fine contribuiscano ad avvelenare ulteriormente i nostri ecosistemi, già pieni zeppi di rifiuti (che in molti casi si trasformano in trappole mortali per pesci e altri animali).

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Fonte: Archeoplastica

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