I risparmi ottenuti in Italia nell’ultimo anno grazie all’adozione di pratiche di economia circolare equivalgono a un miliardo e 200 milioni di euro, per il 57% nelle costruzioni, che fanno salire il totale a 15,6 miliardi, cioè appena il 15% dell’obiettivo di 103 miliardi fissato al 2030. Resta un gap di quasi 88 miliardi, che significa che per colmarlo bisognerebbe risparmiarne circa 11 miliardi all’anno, decuplicando l’attuale sforzo.
Sono gli scomodi dati che emergono dal Circular Economy Report 2023 della Energy&Strategy, School of Management del Politecnico di Milano che sottolinea: «L’Italia infatti è al penultimo posto tra i grandi Paesi europei per gli investimenti privati in Economia circolare (e purtroppo nelle piccole imprese crescono coloro che non intendono farli, saliti in un anno dal 38% al 47%) e il suo posizionamento complessivo è sostenuto principalmente dalla capacità di riciclare i rifiuti, attività virtuosa ma del tutto insufficiente, visto che dal riciclo sarebbe tempo di passare al riuso».
Secondo la quarta edizione del Report, «La strategia nazionale sull’economia circolare – pur ben definita nei contenuti – arranca nella realizzazione, con un generale ritardo sul cronoprogramma del 2023 che va a sommarsi a quelli del 2022, anche a causa delle difficoltà nello sbloccare le procedure autorizzative necessarie per connettere settori diversi e avviare al riuso le materie prime seconde».
Davide Chiaroni, responsabile scientifico del Report e co-fondatore di Energy&Strategy, commenta: «L’Economia circolare è uno dei due pilastri fondamentali della transizione ecologica senza soluzioni strutturali che ci consentano di soddisfare la domanda in crescita di beni e servizi con una riduzione del fabbisogno di materie prime, soprattutto quelle critiche, non potremo mantenere la sostenibilità del sistema economico. Eppure, rispetto alla decarbonizzazione per la quale è indispensabile (sfruttandola appieno, al 2030 la Circular economy porterebbe a una riduzione delle emissioni pari a circa 6,2 MtCO2eq, mentre al ritmo attuale non si andrebbe oltre i 2,2 MtCO2eq), l’Economia circolare non ha l’attenzione che merita. Specialmente in Italia, dove è spesso identificata solo con il riciclo dei rifiuti e dove le difficoltà economiche hanno portato ad accantonarla, soprattutto nel caso delle imprese più piccole. È necessario invertire subito questa tendenza, anche tramite maggiori investimenti pubblici e un quadro normativo stabile e incentivante».
Intanto, l’Europa mostra di avere un passo diverso, con una diffusione di politiche sempre più trasversali e una espansione delle aree e dei prodotti coinvolti dalla direttiva eco-design. Il repor tevidenzia che «Non mancano però segnali incoraggianti: l’Italia è seconda in Europa per numero totale di brevetti relativi all’Economia circolare e sono 210 le startup circolari che hanno raccolto 122,7 milioni di euro di finanziamenti, circa un quinto di quelli ottenuti da realtà climate-tech ma ancora un’inezia se si considerano i 2,4 miliardi andati nel solo 2022 al totale delle startup italiane».
Il Circular Economy Report riporta i risultati di una survey sull’adozione dell’economia circolare condotta intervistando le imprese italiane di 7 settori chiave:
Quasi il 60% delle grandi aziende ha adottato almeno una pratica (e si sale all’87% includendo chi lo farà), ma si scende al 29% nelle piccole, dove al contrario crescono del 9% gli “scettici” che non ne vogliono sapere, passati dal 38% del 2022 al 47% del 2023.
La transizione verso l’economia circolare per il 70% delle imprese è ancora ai primi passi (appena il 2% afferma di averla completata), con un livello medio di 2,06 in una scala da un minimo di 1 a un massimo di 5. L’impegno delle aziende è orientato alla valorizzazione del fine vita dei prodotti traendo materie prime seconde dagli scarti, a scapito delle pratiche incentrate su design ed estensione dell’utilizzo. Tuttavia, negli ultimi anni si è allargata la forbice tra la percentuale di raccolta differenziata e il tasso di riciclo: nel 2010 erano rispettivamente il 35,3% e il 34%, mentre nel 2021 hanno raggiunto il 64% e il 48,1% (fonte ISPRA), dimostrando che un flusso omogeno in termini di raccolta è condizione necessaria ma non sufficiente per ottenere elevati tassi di riciclo.
Il livello degli investimenti privati è ancora troppo basso, in più della metà dei casi inferiore ai 50.000 euro: questo favorisce il tempo di rientro (entro l’anno per il 41% delle imprese) ma ciò accade perché riguarda interventi semplici e non strutturali su processi e prodotti. I principali benefici percepiti attengono alla riduzione dell’impatto ambientale e dei rifiuti generati, seguita dalla valorizzazione del brand. Gli ostacoli, al contrario, vanno cercati negli elevati costi di investimento, correlati all’alto tempo di rientro, e nell’incertezza legata alla normativa e agli incentivi.
Emergono disomogeneità tra i diversi settori in termini di adozione delle pratiche e di livello della transizione: Building & Construction e Impiantistica Industriale sono quelli che registrano più progetti (rispettivamente il 61% e il 48% di imprese hanno adottato almeno una pratica manageriale), mentre l’Automotive è fanalino di coda con meno di un’impresa su quattro che si è attivata, nonostante il significativo potenziale. Le tecnologie digitali si confermano fondamentali, a partire dai sistemi avanzati di gestione dei dati.
Il rapporto fas notare che «Ammettendo che la diffusione dell’Economia circolare prosegua alla velocità che ha ora, si avrebbe una riduzione delle emissioni al 2030 pari a circa 2,2 MtCO2eq: di questi, oltre 1 MtCO2eq, cioè a quasi il 46%, deriverebbe dal settore Building&Construction, seguito da Food&Beverage e Automotive (rispettivamente oltre il 21% e il 20%), mentre Arredamento e Impiantistica Industriale darebbero il minor contributo».
L’analisi delle startup circolari italiane ha identificato 210 realtà ad alto contenuto innovativo fondate tra gennaio 2018 e maggio 2023: il 65% al Nord, in particolare in Lombardia (34%, pari a 71 startup) e il 35% raggruppato in tre città: Milano (45), Torino (15) e Roma (15). Metà di queste startup circolari è concentrata in 4 settori economici: Agroalimentare (39), Tessile (33), Energia (20) e Gestione rifiuti (18).
Sotto il profilo tecnologico predominano realtà legate ad attività di riciclo/recupero energetico per i settori dell’Energia e della Gestione dei rifiuti, ma sono rilevanti anche la riprogettazione dei processi di produzione e dei modelli di consumo (ecodesign) per Tessile, Costruzioni e Trasporti, nonché l’estensione della vita dei prodotti con attività di riuso/riparazione per Tessile, Elettronica (ricondizionamento) e Trasporti (sharing e riuso). Le startup che gestiscono soluzioni di matrice organica sono invece prevalenti nella sostituzione delle materie prime utilizzate, favorendo quelle biologiche o di scarto, specialmente nei settori Agroalimentare, Costruzioni ed Healthcare.
Il Circular Economy Report 2023 evidenzia che «Purtroppo gli investimenti sono ancora limitati e andrebbero potenziati. Delle 210 startup selezionate, 124 risultano aver raccolto capitali, ma solo per 99 è stato dichiarato l’ammontare dei finanziamenti: 122,7 milioni di euro, circa un quinto di quanto raccolto da realtà climate-tech italiane e davvero un’inezia rispetto al totale ottenuto da tutte le startup italiane, che solo nel 2022 ammontava a 2,4 miliardi di euro. I settori che raccolgono più finanziamenti sono Energia (62 milioni di euro) e Agroalimentare (21, con il maggior numero di startup finanziate, 19 su 39), mentre in percentuale sul numero di startup sono Elettronica e Chimica (64% e 63% rispettivamente). La regione dove si colloca la maggior parte delle startup finanziate risulta la Lombardia (88 milioni di euro, pari al 70%), seguita da Piemonte (6,9 milioni) e Veneto (5,9)».
Quanto ai brevetti associati all’Economia circolare, nel 2021 ne sono stati registrati 191 da Germania, Francia, Italia e Spagna (+103% se si considerano i 94 del 2019), concentrati prevalentemente in tre settori: Chimico, Manifatturiero e Gestione dei rifiuti, a cui vanno aggiunti, per l’Italia, Tessile, Logistica e Metallurgia. A farla da padrona è la Germania guidata dai centri di ricerca delle grandi imprese, ma l’Italia è seconda per numero totale e prima per le registrazioni annuali nel 2020, soprattutto grazie all’inventiva delle PMI e con il Politecnico di Milano a guidare la classifica per brevetti.
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